I concerti che non vedrò…ma mio figlio sì

La verità è che a volte, spesso a dir la verità, mi sento più vicino a mio figlio che a mia madre.

Ora, non è che io mi consideri una persona particolarmente immatura, faccio discorsi articolati, se voglio una cosa la chiedo invece di puntare i piedi ed iniziare a piangere (oddio, punto anche i piedi ma quella è un’altra questione) ho tutti i denti, quelli del giudizio a parte (e non perché non mi siano ancora nati ma perché li ho già tolti), mangio da sola e mi addormento, salvo rare eccezioni, senza bisogno di essere cullata.

Però, a parte tutto questo, se qualcuno mi chiedessi di auto inserirmi nel macro gruppo delle genitrici direi che no, io appartengo ancora a quello dei figli.

Di quelli che hanno bisogno della mamma se si trovano in difficoltà, che la chiamano perché non sanno a quanti gradi si lava la seta e che devono essere guidati step by step per cucinare una carbonara come si deve che, per inciso, io ancora devo imparare a cucinare. Di quelli che sulla loro indipendenza economica il Natale e i compleanni incidono al 70 per cento. Di quelli che di notte conoscono tutti mentre di giorno nessun barista li chiama per nome. Di quelli che hanno pensato fino all’altro ieri che alcune cose non fossero di loro competenza perché a consigliare le medicine da prendere, quando l’influenza avanza, ci avrebbe comunque pensato la mamma.

Di quelli che oggi sono saltati, all’improvviso, al livello successivo senza nemmeno accorgersene. E che in questo livello non si sentono perfettamente a loro agio.

Perché loro sono quelli che escono la sera e dormono fuori, si chiudono alle spalle la porta dell’ufficio alle sette di sera ma a casa ci tornano il giorno dopo, viaggiano decidendo all’ultimo momento se (e dove) andare, hanno il frigo vuoto e il congelatore pieno, di Quattro salti in padella. Sono quelli che devono frequentare ancora i master migliori. E fare le esperienze di lavoro più formative prima di pensare all’Università dei loro figli. Sono quelli che dal dottore non ci vanno nemmeno sotto minaccia e quando ascoltano la pediatra parlare pensano che tornati a casa chiameranno subito la loro mamma.

Sono quelli che con i loro figli ridono tanto ma poi piangono perché si sentono profondamente inadeguati.

Sono quelli che ad ogni concerto, ormai, pensano che fra quindici anni in quella medesima situazione ci si troverà il proprio figlio.

E non sanno se esserne felici o estremamente preoccupati.

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