H&M accusata di razzismo nei confronti di bambini di colore

La conosciuta azienda di abbigliamento H&M è nell’occhio del ciclone a causa di una pubblicità che ha scatenato moltissime polemiche e accuse di razzismo, sia in Italia che in Europa, nonostante il riferimento fosse al mercato degli Stati Uniti.

Per promuovere una nuova linea di abbigliamento il brand svedese ha pensato di ritrarre un piccolo bambino di colore, dal viso piuttosto serioso, con indosso la nuova felpa recante la scritta “Coolest monkey in the jungle“, la cui traduzione in italiano significa “La scimmia più cool della giungla“. La risonanza mediatica che tale messaggio pubblicitario ha riscontrato è stata notevole: sui social network si è scatenata una vera e propria ”battaglia” contro l’azienda H&M additandola come razzista, anche se c’è chi la difende. L’accusa è stata accentuata anche dal fatto che all’interno del catalogo che si trova su internet al sito dell’azienda, è presente pure un’altra immagine che ritrae un bambino bianco che veste una felpa della stessa linea prodotto, ma con una scritta ben differente che lo rende un esperto di sopravvivenza. Questo contrasto tra le due fotografie e soprattutto l’abbinamento alle due scritte, ha amplificato le valutazioni su quanto accaduto.

Il brand svedese ha ufficializzato le proprie scuse verso coloro i quali si sono sentiti offesi e ha ritirato dal mercato statunitense la prima felpa, eliminandola anche dal catalogo online. Inoltre ha promesso una miglior valutazione futura su campagne che potrebbero far nascere eventuali equivoci del genere.

Gli altri scivoloni di H&M

H&M non gode evidentemente di buona fortuna con la scelta delle sua campagne pubblicitarie. Infatti già qualche anno fa era stata accusata di razzismo a causa di un’intervista rilasciata da un manager della filiale presente in Sudafrica, il quale ha dichiarato che per fornire un’immagine più positiva agli occhi del mondo venivano preferite persone di carnagione chiara per la promozione dei prodotti del marchio. Come se non bastasse la polemica si era ancora scatenata qualche tempo fa, quando alcune sedi asiatiche vennero accusate di lavoro minorile e di violazione dei diritti dei lavoratori: in un mondo attuale fatto di diffusione mediatica immediata grazie ai vari social network, la cassa di risonanza appare sempre più amplificata.

 

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