Piangere fa bene: cosa fare quando tuo figlio piange

Il pianto nei bambini stimola a volte sensi di colpa nei genitori che in realtà non sussistono; d’altronde il pianto è una naturale manifestazione di disagio dei bambini che chiedono invece comprensione. Sbagliato è infatti in quelle contingenze, dal punto di vista pedagogico, cercare di porre rimedio alle lacrime con frasi come “Si può sapere cos’hai?“.

Può succedere che il bimbo chieda solamente attenzione e non è sbagliato in quei momenti ascoltare le esigenze e le richieste dei bambini.

Vi offriamo così cinque pratici consigli comportamentali per affrontare il momento del pianto con maggiore sicurezza e apertura empatica.

Il pianto del bambino non va MAI interrotto

Se avete accolto le analisi di fondo come verità e contingenze su cui costruire un rapporto che consideri il pianto come l’incapacità di contenere le emozioni, le frustrazioni, proprietà del carattere che accrescono solamente con l’acquisizione della maturità. In quest’ottica dovrete quindi accettare il pianto per capire in quale direzione muovervi al fine di risolvere le frustrazioni, il dolore, le debolezze dei bambini.

Ascoltarlo e accoglierlo come primo passo verso la comprensione

Può succedere che il pianto insorga improvviso nei bambini: il momento immediatamente precedente il bambino era tranquillo (ciò è considerabile in una fascia d’età che vai dalla tenera età sino, anno più, anno meno, agli otto-dieci anni), all’improvviso la quiete viene interrotta da una tempesta di singhiozzi e singulti apparentemente incontrollabili.

Ecco, in quei momenti siate comprensivi, accoglietelo tra le vostre braccia, donategli innanzitutto comprensione e una solida spalla sulla quale manifestare il proprio disagio, rassicuratelo, iniziate lentamente a capire, con dolcezza, la causa del suo malessere fisico o psicologico.

Le coccole fisiche sono anche coccole psicologiche

Durante la fase dell’accoglienza, una prima forma di pronto soccorso nel curare il pianto è la manifestazione fisica d’amore: le classiche coccole, fatte di abbracci, carezze, parole dolci e comprensive.

L’energia che si sviluppa in questi momenti sarà innanzitutto fisica (il contatto tra persone è fondamentale nel creare un empatia tra corpi), ma allo stesso momento anche psicologica: le coccole infatti sono il segno tangibile della vostra attenzione e comprensione, un vero ansiolitico naturale senza ricette mediche e prescrizioni. Nulla più di un abbraccio ha il potere di generare tranquillità e distensione emotiva nel bambino.

Terza fase del pianto: fondamentale la comprensione

Potrebbe accadere che il pianto sia derivato da un motivo per voi futile, come la rottura di un giocattolo, un disegno mal riuscito, un capriccio non soddisfatto. Ebbene, in quei momenti risulterà deleterio manifestare il vostro disappunto.

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Meglio allora cercare di comprendere senza minimizzare l’accaduto: le scale dei valori di bambini e adulti sono diverse, cercate di tornare voi stessi bambini e vedere il mondo filtrato dai suoi occhi.

Arriva il momento dell’ascolto

Una volta rassicurato, tranquillizzato, coccolato, il bambino ora calmo, sarà maggiormente predisposto a rivelarvi la causa del suo malessere, del pianto improvviso. Ascoltatene le cause e cercate assieme di portare la situazione sotto un’ottica che non minimizzi (quindi umiliante per il bambino), ma che mostri diversi aspetti del problema.

Ti si è rotto il giocattolo? Amore, può succedere, l’importante è che non ti sia fatto male tu; un giocattolo lo possiamo ri-acquistare assieme, ma tu in negozio non sei disponibile!“. Ecco che, anche attraverso una sottile verve comica, portando sullo scherzo, pur sempre mantenendo un tono cordiale e comprensivo, il bambino si sentirà ascoltato rendendosi gradualmente conto che alla fine non è successo nulla di irreparabile.

Aiutate il bambino nelle espressioni

Una grande frustrazione del bambino è non avere ancora in se quella padronanza di linguaggio che gli consente di esprimere le sue emozioni e la frustrazione in termini appropriati. Ascoltatelo ma, con piccole domande mirate, aiutatelo anche nell’espressione lessicale del problema. Fatelo diventare catartico quel momento profondo di dialogo in cui entrambi uscirete arricchiti da un’esperienza condivisa.

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