Quando dietro “l’amico” si nasconde il lupo…

Fate e principi, cavalli e castelli, animano la favola della buona notte, così come quella che si racconta strada facendo verso scuola o quella letta dal papà, appena torna dal lavoro: per i bambini quel mondo è magico, incantato, dorato e persino un po’ noioso se non fosse per il drago o il lupo di turno.

Già, quel lupo che non va più tanto di moda, surclassato da nuovi e più aggressivi mostri, ma che – al di fuori dei boschi fatati – c’è sempre: c’è a scuola, c’è al campo sportivo, c’è all’oratorio, ma anche a casa di amici e parenti. Non ha né i denti aguzzi, né la coda, ma un naso, due occhi e una bocca come noi.
Proprio per questo è difficile stanarlo.

Ed è tanto più difficile spiegare a un bambino e ai suoi occhi innocenti che nel mondo reale il bene non è diviso dal male da una cortina di ferro, ma talvolta sfuma e non tutti i buoni sono sempre buoni. Quanto a quello che chiedono gli adulti, ci sono alcune richieste a cui si può (anzi, si deve) dire di no, anche se sembrano dei giochi, anche se prima c’era una promessa.

Affrontare la pedofilia vuol dire infrangere alcune certezze del bambino, vuol dire rompere quella bolla di sapone che lo avvolgeva e proteggeva, vuol dire sfatare il mito che solo il lupo sia cattivo.
Vuol anche dire rivoluzionare la posizione del bambino, chiamato a ribellarsi e opporsi a quello che gli dice un “grande”.

Vuol dire spiegare al bambino che il suo corpo è suo e solamente suo e, proprio come il suo orsetto del cuore, nessuno può toccarlo, nessuno può “giocarci”. Vuol dire anche insegnargli ad alzare la testa, a dire “no” quando quel “gioco” non piace, quando i limiti della sua dignità vengono violati.

Oltre che affrontata, la pedofilia va anche prevenuta predisponendo un clima di fiducia e di attento ascolto che non crei quel vuoto nella vita del bambino che potrebbe tramutarsi in una potenziale chiave d’accesso per il pedofilo.
Significa costruire giorno per giorno una relazione intima e personale fra genitore e figlio dove il linguaggio non verbale si sviluppi visceralmente e si tramuti in uno strumento per cogliere al volo eventuali segnali di malessere, di vergogna, di frustrazione e di timore del bambino.

Perché spesso sono proprio questi i sintomi che un bambino lancia quando quell’ ”amicizia” fatta di complicità e segretezza inizia a degenerare, imponendo silenzio e omertà, rinverdendo quel raggelante pattoquesto è un segreto fra noi due.

Non possiamo nascondere i nostri figli sotto una campana di vetro, certo, ma non possiamo nemmeno illuderci che una frettolosa lezione del “non prendere le caramelle dagli altri” unita al gioco del “qui posso toccare?” assolvano il nostro dovere preventivo.

Dedichiamo ogni giorno tempo, amore e pazienza ad ascoltare, ad osservare i nostri figli perché mai e poi mai possano provare la rabbia e l’umiliazione, la repulsione e il disgusto di essere stati traditi da colui che aveva sordidamente conquistato la loro fiducia, insinuandosi nelle pieghe della nostra fretta e della nostra stanchezza.

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