Riflessioni sull’asilo nido

Avevo già discusso di quest’argomento tra queste pagine, ma ci ritorno su dopo qualche mese e una diffidenza preventiva che ora si è trasformata in esperienza diretta. Il primo anno di asilo nido (iniziato ad un anno e mezzo) non è stata propriamente positiva. Diciamo che è stata nella media di molti, una stagione di malanni e influenze, frequentazioni sporadiche, inserimenti da rifare ogni volta daccapo.

Il rientro dopo la Pasqua è stato quello più turbolento, con un bimbo che non ne voleva sapere di staccarsi da genitori, nonni e zii, i miei sensi di colpa che hanno toccato livelli imbarazzanti e alcuni screzi con le educatrici che hanno peggiorato il tutto.

Si sono prepotentemente riaffacciati tutti quei quesiti che mi ponevo all’inizio dell’anno scolastico sulla reale funzione dei nidi. Quello che pensavo allora, e che penso con più forza oggi, è che siano per lo più un’esigenza dei genitori che spesso hanno i propri genitori lontani, che non riescono a campare con un solo stipendio, come invece succedeva trenta o quaranta anni fa, che hanno un’ambizione e un bisogno di affermazione professionale direttamente proporzionale alla loro precarietà. Io non credo sinceramente alla storia della socializzazione, dell’integrazione, degli stimoli che vengono dagli altri bambini. Non ci credo a questa età. Non ci credo perché io, e la maggior parte della gente che conosco della mia età, al nido non è andata e non ha comunque particolari problemi di socializzazione.

Io sono un animale sociale. Socializzo anche con lo spigolo del tavolino se intorno non c’è nessun altro. Io che sono andata alla materna sempre piangendo, che fino a sette anni sono stata figlia unica, che ho avuto genitori, nonni e pure bisnonni giovani, che sono stata la prima nipote per almeno quattro famiglie. Sono cresciuta con i nonni, il mio asilo è stato un inferno, non mi piaceva e non volevo star lontana da casa dove mi sentivo felice e protetta. Poi sono cresciuta, è arrivata l’età delle amiche, delle uscite, della poca voglia di stare in famiglia. Ma non a tre anni.

Figurarsi a due.

Questo non significa che rinuncerò al nido, dato che per farlo dovrei rinunciare al lavoro e a me stessa, però ecco, il mio pensiero è questo e no, io non porto Pit al nido perché ho la smania di farlo socializzare, di farlo diventare grande. Ora. Io Pit lo porto al nido perché ho un bisogno, una necessità e pago per avere un servizio che, si spera, visto che parliamo di istruzione e bambini, sia il più efficiente possibile.

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4 commenti

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  1. Anche la mia esperienza con il nido è stata molto positiva, che ho ripetuto con tutti e due i figli (per la verità più che nido, hanno frequentato la sezione primavera, 24-36 mesi). Ho trovato educatrici bravissime e un clima sereno in cui ci si dava una manao a vicenda. E’ ovvio, però, che il nido sia più che altro un’esigenza dei genitori, ma non sono d’accordo sul fatto che a 2 anni i bimbi non ne traggano beneficio. Si sa che i bambini stanno meglio con i bambini, a qualsiasi età. Parlano un linguaggio simile, e, anche da piccolissimi, imparano molto x imitazione. Per me è un’esperienza decisamente formativa, da vivere con gioia e per la quale i genitori non debbano avere alcun senso di colpa…l’unica pecca sono le tariffe, decisamente poco popolari…almeno in lombardia…

  2. Non sono per nulla d’accordo con questo post . mando la mia bimba al nido da quando aveva 8 mesi e siamo entrambe felici. Sicuramente tante malattie ma anche tanti sorrisi e tante cose imparate. Ha delle educatrici eccezionali che ringrazio ogni giorno