Lo spot di un brand per l’infanzia, qualche anno fa, suggeriva a chi volesse divertirsi di farsi una famiglia. La maternità dona una marcia in più per affrontare le difficoltà della crescita e, perché no, anche la giusta dose di umorismo e filosofia per i momenti che potrebbero altrimenti divenire tragici. Come il contagio da malattia esantematica, soprattutto se in casa ci sono due piccoli di età ravvicinata.

Prima o poi accade: un punticino rossastro campeggia sul pancino del cucciolo e, fra l’allarmismo e il menefreghismo, quella bollicina inizierà a tarlare la nostra mente.

Fra illusioni ottiche in cui tutto sembra scomparso e visioni della “Cosa” dei Fantastici 4, maledicendoci di quando abbiamo avuto la pessima idea di cercare su google non si sa bene cosa e resistendo alla tentazione di coinvolgere le nonne e le loro botte d’ansia; la rassicurante visita dal pediatra arriverà dopo una notte insonne, degna delle lontane e mai dimenticate notti prima degli esami.

Mother nursing sick child

L’occhio critico della scienza medica non ci mette molto a sentenziare “Varicella”. Ed ecco che un sospiro di sollievo possiamo concedercelo; dopo tutto quello che avevamo letto su internet, è sempre meglio levarci il pensiero quando sono piccoli.

Accettata di buon grado la diagnosi, segue la frase che stroncherà la gioia palpitante: “quindici giorni a casa e… sicuramente contagerà anche il fratello”. Il mondo ci crolla addosso: quindici giorni! Se l’altro si ammala subito, due per uno! Pensa che fortuna!

E così si tengono i due pupi a casa e a stretto contatto, in una miscellanea fra altruismo (così-non contagiamo-nessuno), comodità (uno-va-e-l’altro-no?) e, soprattutto, istinto di sopravvivenza (più-insieme stanno,-prima-si-contagiano,-prima-guariscono,-ergo-prima-torniamo-alla-nostra-vita).

I giorni passano e subentra la scrupolosa analisi della cute del fratello che, manco a farlo apposta, è più liscia della seta. Allora la mamma ricorre all’anatema “Ammalati anche tu”, passa al più incisivo “Bambini, abbracciatevi!”, fino ad arrivare al disperato “Dai, mettiti i suoi vestiti”; ma nessun cambiamento si verifica e la rassegnazione giunge. Realizziamo che, in fin dei conti, abbiamo dotato il varicella-repellente di un piccolo grande sistema immunitario che non ne vuole sapere, stoicamente resiste e non molla: quanto sono stata brava!

Gongolanti per le nostre prodezze genetiche, il primo contagiato sta per uscire dal lazzaretto quando, d’emblée, una piccola e insignificante chiazzetta sulla pelle del superpiccolo di casa richiama l‘attenzione. Con l’esperienza ormai consolidata si constata che qualcosa c’è. Tutti giubilanti e saltellanti, mamma, papà e piccolo contagiatore tirano un sospiro di sollievo, mentre il neo contagiato, con umiliazione, ammette “sì, ma è solo una!”, slanciando il pollice in posizione da 1 in bella vista.

Poco importa, ce l’abbiamo fatta! Si riparte con un nuovo ciclo di sciroppi, antibiotici e quindici giorni di isolamento assoluto con il sorriso sulle labbra perché finalmente possiamo spuntare la varicella dalla black–list.
Quando si dice che la maternità faccia vedere tutto rosa, s’intende anche questo: vivere con filosofia e cercando sempre il lato positivo delle cose.

Per esempio, avreste mai pensato di fare un party per una malattia esantematica? Questa è un’altra storia, ve la racconterò un’altra volta.

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2 commenti

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  1. Ciao Manuela,
    grazie per condiviso con noi la tua esperienza.

    In Italia, il vaccino contro varicella è raccomandato ai ragazzi dagli 11 ai 18 anni che non hanno contratto la malattia in precedenza.
    Diversamente, quelli contro morbillo e parotite (e rosolia) sono raccomandati ai bambini fra i 13 e 15 mesi, con richiamo a 5-6 anni.
    Ulteriori informazioni, sul sito del Ministero della Salute
    http://www.salute.gov.it/portale/salute/p1_5.jsp?lingua=italiano&id=41&area=Vaccinazioni