18 dicembre 2025 –
Negli ultimi mesi molti genitori si sono imbattuti, magari per caso, in un’espressione apparentemente priva di senso dei figli adolescenti: “six-seven”. Compare nei commenti su TikTok, nei video, nei dialoghi tra ragazzi. Non è una canzone, non è una moda legata all’abbigliamento e non ha una traduzione immediata. Eppure, per chi frequenta i social più giovani, è diventata una sorta di parola d’ordine.
Ma cosa c’è dietro la tendenza “six-seven”? E soprattutto: è qualcosa di cui preoccuparsi?
Un codice più che una parola
“Six-seven” non ha un significato preciso. Viene usato come intercalare, come riempitivo in una conversazione quando i ragazzi non sanno bene cosa rispondere. Un po’ come tra i millennials si sente usare spesso “daje”, “ci sta”, “cool” e tante altre intercalari ormai fuori moda.
C’è chi lo usa per rispondere “così così”, “niente di eccezionale”. E infatti c’è chi accompagna la parola al gesto che si fa con le mani quando si soppesano due possibilità: né carne né pesce. Non a caso, se cercate su google proprio l’espressione “six seven” vedrete la finestra del browser oscillare esattamente come per simulare il gesto.
Ad ogni modo, si può far risalire l’origine del meme al rapper Skrilla, e più precisamente dalla canzone “DootDoot” (ribattezzata appunto “6 7”) che ha iniziato a circolare rapidamente su TikTok e Instagram. In un punto del ritornello, il rapper pronuncia i numeri sei e sette con una particolare intonazione, quasi cantilenante, che cattura l’attenzione di chi ascolta. Non è una frase, non è un messaggio esplicito: è solo una sequenza sonora che resta impressa.
È diventato così un codice, una formula volutamente ambigua che funziona proprio perché non spiega nulla. Gli adolescenti la usano per alludere, per scherzare, per creare complicità tra pari, lasciando fuori chi non appartiene al gruppo.
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Questo meccanismo non è nuovo: ogni generazione ha costruito il proprio linguaggio segreto. La differenza, oggi, è che questi codici nascono e si diffondono online, spesso in modo rapidissimo, e diventano virali prima ancora che gli adulti riescano a decifrarli.
Il fascino del “non detto”
E infatti una delle chiavi per capire il successo di “six-seven” è proprio il non detto. Non spiegare tutto, non dare un significato univoco, permette ai ragazzi di usare l’espressione in molti contesti diversi: per commentare una situazione imbarazzante, per reagire a un contenuto assurdo, per esprimere un disagio senza doverlo nominare apertamente (un po’ come prima usavano dire che una cosa era “cringe”, ovvero imbarazzante).
In un’età in cui parlare di sé può essere difficile, soprattutto online, questo tipo di linguaggio diventa una forma di protezione: si comunica, ma senza esporsi troppo, senza dire nulla di preciso.
Come molti trend digitali, anche “six-seven” ha una forte componente ironica. Viene usato spesso in modo leggero, quasi surreale, e proprio questa vaghezza lo rende efficace. Chi lo usa dimostra di “esserci”, di conoscere il contesto, di far parte della stessa cultura digitale.
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Per gli adolescenti, che stanno costruendo la propria identità, sentirsi parte di un gruppo è fondamentale. Utilizzare lo stesso linguaggio, gli stessi riferimenti, è un modo per riconoscersi e rafforzare i legami, soprattutto in uno spazio – quello online – dove tutto cambia molto velocemente.
C’è un messaggio nascosto?
Molti genitori si chiedono se dietro questi trend ci sia sempre un significato profondo o un messaggio preoccupante. Nella maggior parte dei casi, no. “Six-seven” non rimanda a comportamenti pericolosi né a contenuti espliciti: è più una forma di espressione fluida, che cambia a seconda di chi la usa e del contesto.
Questo non significa ignorarla, ma osservarla con curiosità. Spesso questi linguaggi raccontano più il bisogno di comunicare in modo diverso che un problema concreto.
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Davanti a trend come questo, l’atteggiamento migliore non è il divieto, ma l’ascolto. Chiedere ai figli cosa significhi per loro, senza giudicare o minimizzare, può aprire uno spazio di dialogo prezioso.
Mostrarsi interessati al loro mondo digitale – anche quando sembra incomprensibile – aiuta a costruire fiducia. E ricordiamolo: quello che oggi appare strano o inutile, domani sarà già superato, sostituito da un nuovo codice tutto da decifrare. Quindi, niente panico, come potrebbe suggerire questa illustrazione di Hunter French per il NY Magazine.
Un linguaggio che parla di crescita
La tendenza “six-seven” è, in fondo, un segnale di vitalità: racconta una generazione che sperimenta, gioca con le parole, cerca nuovi modi per dire (o non dire) ciò che prova. Per gli adulti può sembrare solo rumore, ma per i ragazzi è spesso un modo per sentirsi visti e riconosciuti, anche senza spiegarsi fino in fondo.
Capirlo non significa parlare come loro, ma accettare che ogni età abbia il proprio linguaggio. E che dietro a una formula misteriosa, a volte, c’è solo il desiderio di appartenere.




