“Conciliare” maternità e lavoro si può, ma come?

Qualche giorno fa ho parlato di mamme e lavoro nel mio blog. Nel post mi chiedevo se per le mamme lavoratrici fosse meglio un lavoro da freelance o da dipendente partendo da quella che è la mia esperienza.

Io ho la fortuna di fare un lavoro che mi piace, part time per un giornale locale. Ho lavorato fino all’ottavo mese di gravidanza e ho ricominciato che Pietro non aveva nemmeno cinque mesi. E ritornare a lavorare per me è stato salvifico, mi ha aiutata ad uscire da quel brutto periodo fatto di poppate, pannolini da cambiare e lacrima facile in cui spesso si incappa dopo il parto.

Certo, il contratto non è di quelli che ci metti su famiglia (appunto!) ma essermi ripresa la mia scrivania è già qualcosa.

Prima di Pietro (oltre alla vodka) c’era solo il lavoro o meglio, quel difficoltoso percorso, meglio conosciuto col nome di precariato, che vede all’arrivo (almeno nelle mie speranze) il lavoro dei sogni e, quando ho scoperto di essere incinta, ho gridato alla catastrofe, odiato tutte le donne con la maternità da contratto e maledetto tutte quelle che si prendono pure l’aspettativa.

Poi, piano piano, tutto è tornato alla normalità. O quasi.

Si torna al lavoro (se sei fortunata) e si inizia a dover fare molto di più e molto meglio di prima per dimostrare che avere un bambino piccolo non limita una donna che vuol lavorare. Si impara il valore del tempo e ad ottimizzarlo al meglio organizzando ogni minuto del lavoro e della giornata in generale. Ma conciliare non è facile, non sono di certo io la prima a dirlo.

Quando si ha un buon contratto le cose sono più semplici, se si può contare sull’aiuto di nonni e zie bene, altrimenti si può pensare senza troppi problemi a soluzioni alternative come l’asilo nido o una baby sitter.

Le cose si complicano quando mamme ci si diventa che si è ancora precarie. Che vuol dire tante cose. Precario è chi si vede rinnovare il contratto ogni mese il giorno dopo che è scaduto, precario è lavorare tanto e guadagnare poco, precario è non vedersi pienamente realizzato per quello che si sa e si vorrebbe fare. E se si è mamma è un po’ più difficile fare tutti quei sacrifici legati a questa condizione.

Anche per questo, credo, sempre più mamme diventano freelance. Un popolo di donne determinate e caparbie che hanno deciso di stare vicino ai loro figli (chi per necessità, chi per scelta) e che con le proprie forze, inventandosi o reinventandosi, vogliono realizzarsi professionalmente, avendo capito l’enorme importanza che questo aspetto ha anche nel ruolo di madre.

Ma essere freelance è un modo di essere: ci vuole autostima, sapersi vendere bene e credere, fortissimamente credere, in quello che si sta facendo. E sì, ci vuole anche una buona dose di costanza.

Perché lavorando “da casa” non sempre è facile essere presi sul serio, né dire no quando i tuoi amici ti passano a trovare o incastrare il lavoro con il cambio del pannolino di tuo figlio. Già, tuo figlio al quale vallo un po’ a spiegare che “La mamma sta lavorando quindi ti prego lasciala un po’ in pace. Un’oretta di concentrazione, non chiedo altro”. Con un bambino piccolo gli unici momenti buoni per lavorare sono quelli in cui dorme e la cosa spesso è rara. Allora si potrebbe mandarlo al nido, oppure lasciarlo con qualcuno di fiducia ma spesso queste due soluzioni non sono conciliabili per il rapporto guadagno/spesa.

Inoltre non sempre il lavoro c’è, però d’altra parte tu ci sei sempre per tuo figlio anzi, il rischio è quello di dedicare a lui tutto il proprio il tempo.

E allora qual’è il segreto per conciliare?

Io so che per me è neccessario uscire di casa per concentrarmi e concludere qualcosa anche se, negli ultimi tempi, per lavorare a cose mie, sempre più spesso mi ritrovo a scrivere con una mano mentre con l’altra cullo il Nano. Continuo a fare senza capire davvero come è meglio, augurandomi che a forza di fare la migliore soluzione arrivi da sé.

O che qualcuna di voi mi spieghi come concilia il lavoro di mamme con il lavoro vero e proprio?

 

lucrezia.sarnari@gmail.com

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