Aborto in Italia: storia di un traguardo in pillole

Leggendo del diritto di aborto negato in Cile, ci è sembrato di fare un salto indietro di circa 30 anni, quando neanche in Italia era permesso abortire legalmente. Quello che oggi è un diritto di tutte le donne, cioè scegliere – entro un certo termine – se proseguire o meno una gravidanza, ai tempi era un reato: sembra medioevo, ma nel 1978 molte di noi non erano nemmeno nate….

Il codice penale allora vigente, il Rocco, dedicava il Titolo II del Libro X all’aborto e, leggendo la rubrica “Dei delitti contro la integrità e la sanità della stirpe”, non passa inosservata la marcata matrice fascista che aveva caratterizzato questo testo: sia la donna che si sottoponesse a una interruzione di gravidanza volontaria che il medico (o, comunque, chi l’aiutava) erano passibili di reclusione dai 2 ai 5 anni.

Come in Cile oggi, anche in Italia allora il fatto che l’aborto fosse un reato non faceva desistere le donne dal ricorrere a canali clandestini: condizioni igieniche pessime (se non inesistenti) e metodi tribali attendevano ragazze, giovani donne o signore che non volevano o non potevano accettare un figlio.

L’Italia era, senza dubbio, uno dei paesi più arretrati in questo senso e anche solo nominare la parola aborto era considerato un peccato: non deve stupire, dunque, se la legge sarà approvata solo alla fine degli anni Settanta, dopo una prima apertura da parte della Corte Costituzionale nel 1975.

La sentenza n. 27 del 18 febbraio 1975 fu il primo punto di rottura di una solida lastra di ghiaccio: i giudici della Suprema Corte ammisero, pur riconoscendo la tutela che spetta al nascituro, l’aborto solo nel caso in cui ricorressero gravi motivi di salute per la donna.

Il dado era, insomma, tratto e pochi anni dopo, il 22 maggio 1978 per la precisione, il Parlamento approvò la legge 194 sull’interruzione volontaria di gravidanza (nota anche come IVG) che aboliva il reato di aborto (e, quindi, la pena della reclusione dai 2 ai 5 anni) e prevedeva la possibilità di abortire entro i primi 90 giorni della gestazione, qualora avesse costituito un serio pericolo di gravi danni fisico-morali per la donna.

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