Dalla diffusione dei social anche tra i giovanissimi e adolescenti, sentiamo parlare sempre più spesso di “challenge” e sfide pericolose che diventano veri e propri trend. Come i fatti accaduti a Napoli nel 2020, con quel bambino di soli 11 anni che si è lasciato andare nel vuoto, insinuano un terribile dubbio: nel messaggio di addio alla mamma, il piccolo ha citato la volontà di seguire “l’uomo nero”, alimentano l’ipotesi che il ragazzino sia stata vittima di una delle challenge mortali di cui da anni si segnala la presenza web.
Il nuovo pericolo avrebbe il volto di Jonhatan Galindo, ma i giochi pericolosi varierebbero tra la “Blu Whale” e la “Momo Challenge”, tutte occasioni per infoltire reti di contatto ed aumentare il rischio di incolumità di milioni di bambini su internet. Ecco cosa c’è da sapere.
Jonhatan Galindo, la rete dei contatti e la proposta di gioco
La nuova rete di contatti che preoccuperebbe soprattutto i bambini, gli adolescenti, i loro cari e i loro genitori parte da Jonhatan Galindo. Si tratterebbe di un utente presente nel web con un’immagine di profilo che ricorda vagamente Pippo della Disney in versione umanizzata, che invia richieste di amicizia allo scopo di aumentare il numero di seguaci ed invitare quante più persone possibili ad eseguire delle challenge dall’alto gradiente di pericolosità.
Tutto parte da una richiesta semplice, ma allo stesso tempo diretta e spietata: “ti piacerebbe entrare a far parte di un gioco?”.
Accettata la proposta, bambini e adolescenti si trovano subito a vivere un incubo senza fine, arrivando addirittura a sfiorare il tragico epilogo. Si parte da sfide come procurarsi del tagli sulle gambe e, ogni volta che la missione viene compiuta, si passa ad un livello più alto di difficoltà.

Momo Challenge e Blue Whale: diversi nomi per lo stesso pericoloso meccanismo
Galindo non è il primo “adescatore” della rete: prima di lui si parlava della Momo Challenge, che spingeva i ragazzini ad affrontare sfide simili. Ancora prima, nel 2017, il mondo ha conosciuto la Blue Whale Challenge, indicata da alcuni media russi come responsabile di oltre cento morti tra i giovanissimi.
Il meccanismo era sempre lo stesso: si iniziava con prove apparentemente innocue – come restare svegli fino a tardi o guardare un film horror – fino ad arrivare a sfide autodistruttive, come procurarsi ferite, esporsi a rischi fisici o addirittura lanciarsi nel vuoto.

Le nuove challenge: dalle abboffate del “mukbang” al “chromebook” challenge
Oggi il panorama delle sfide si è ampliato con forme apparentemente meno cruente, ma non per questo prive di rischi. È il caso del mukbang, nato in Corea del Sud come spettacolo in cui le persone mangiano quantità enormi di cibo davanti alla telecamera. Un fenomeno che, se imitato dai più giovani senza consapevolezza, può generare disturbi alimentari o danni alla salute.
Un altro esempio recente è la “chromebook challenge”, in cui i ragazzi si divertono a inserire oggetti metallici come graffette o spilli nelle porte USB dei computer portatili, per lo più nei notebook forniti dalle scuole, provocando cortocircuiti e talvolta anche incendi.
Sfide simili, pur non avendo un’immediata connotazione estrema come le challenge del passato, restano pericolose perché sfruttano la voglia di emulazione e la pressione sociale tipica dell’età adolescenziale.
Il filo conduttore è sempre lo stesso: trasformare comportamenti rischiosi in spettacolo virale, con conseguenze che vanno dall’emulazione innocente fino a episodi tragici.




