L’altra faccia della medaglia

Durante l’anno appena trascorso non ho fatto altro che lamentarmi. Di tutto. Con tutti.

Mi sono lamentata della pancia che pesava, di quanto doloroso fosse stato il parto, di quanto pesante fosse l’allattamento, quanto faticoso fosse lo svezzamento, noiosi i pianti, snervanti i risvegli notturni, dolorante (la mia schiena) dopo aver cullato per quasi un’ora un bimbo che piangeva senza tregua.

E ancora la prima febbre, l’angoscia per i vaccini, le notti in bianco, la preoccupazione per il troppo caldo prima e per il troppo freddo poi, la stanchezza, il senso di inadeguatezza, la difficoltà di conciliare un bambino piccolo e il lavoro.

I pianti incomprensibili, le evoluzioni così veloci da non stargli dietro, il nervosismo, il sonno, quel terribile sonno che ti rende le ossa molli e i pensieri offuscati.

Mi sono lamentata di tutto questo, e non è che io voglia ritrattare in questa sede il mio sacrosanto diritto di lamentela, solo che, ieri, guardando il Nano piangere e dimostrare il suo disappunto nello starsene in macchina legato per oltre due ore, ho pensato che anche il mio lamento ha l’altra faccia della medaglia.

L’altra faccia della medaglia sono tutte le difficoltà che un bambino si trova ad affrontare nel suo primo anno di vita. Un anno impegnativo per noi mamme ma parecchio pure per loro figli.

Con ordine. I primi nove mesi va alla grande, dentro quel bozzolo di amore e calore, ma poi anche lì si comincia a stare strettini e, all’improvviso, qualcosa ci spinge con forza in un buco nero troppo stretto per chiunque. E poi la luce, il freddo, il rumore e tutti quei visi sfocati.

E la fame. La fatica per quelle prime, poche gocce di latte. I primi mal di pancia, le coliche, la fame ancora, la cacca. L’unico momento che ci ricorda la pace che c’era nel bozzolo è quando la mamma ci tiene stretti al suo seno.

Ma anche questo finisce. Si passa dall’allattamento alle pappe. Nuovi sapori, nuovo modo di mangiare. E quel calore che non c’è più.

Si cresce e crescono le difficoltà. L’equilibrio precario, la frustrazione di voler star seduti prima e in piedi poi, di voler comunicare ma senza parole.

Dover imparare, imparare, imparare e ancora imparare. Scoprire la meraviglia, lo stupore ma anche la sofferenza, il dolore, il distacco e l’assenza di chi si ama.

Insomma ce n’è abbastanza per pensare che dietro ogni nostro lamento da neo mamme si nasconda un sospiro carico di pazienza dei nostri figli alle prese con la scoperta del mondo.

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