Lavoratori digitali, attenzione al tecnostress

Giornalisti, redattori, grafici, operatori di call center: sono solo alcune delle categorie di mobile workers che oggi riscrivono un nuovo mercato del lavoro, in cui l’uso delle tecnologie digitali è l’abc. Professionisti che non possono o non sanno più staccarsi da tablet, pc e smartphone, neppure in vacanza e nemmeno nel week end: ma che conseguenze hanno sulla salute le giornate intere (o quasi) trascorse davanti a uno schermo?

Questo l’interrogativo alla base di un recente studio, condotto da Netdipendenza Onlus in collaborazione con Aifos (Associazione italiana formatori salute e sicurezza sul lavoro), che ha preso in esame le abitudini in ufficio e fuori di 1.900 lavoratori digitali. Oggi si parla infatti di tecnostress.

Per tutti il denominatore comune è l’uso prolungato di dispositivi digitali connessi alla rete: se il 18,4 % trascorre davanti allo schermo le canoniche 8 ore lavorative, un 6% sfiora la soglia limite delle 12-16 ore. Rispetto alle professioni per così dire “tradizionali”, il lavoro digitale tende infatti a continuare anche al di fuori dello spazio fisico dell’ufficio, invadendo ambiente domestico e tempo libero: non ci sono più week end o festività, e il 66,5% degli intervistati afferma di usare per lavoro smartphone, pc & co perfino la sera a letto.

Le conseguenze del tecnostress sulla salute non tardano a farsi sentire e portano a mal di testa, cali di concentrazione, disturbi della memoria, stanchezza generalizzata, per non parlare delle tensioni muscolari favorite da sedentarietà e cattiva postura. Si aggiungano poi il nervosismo, l’ansia e l’irritabilità, perché i lavoratori digitali oltre che sempre online devono essere anche multitasking, sempre in grado di districarsi fra mille impegni. E sempre più sottopressione.

Secondo i risultati della ricerca, a rischio di tecnostress è il 45% dei mobile workers. Per loro e per tutti gli internet dipendenti la soluzione è una sola: ritagliarsi lo spazio per una sana, rilassante fuga dalla tecnologia. Perché la vita val la pena di essere vissuta anche in modalità offline.

 

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