Quando il malato di tumore è un bambino

Apprendere che il proprio figlio sia affetto da un tumore determina un dolore indicibile e un senso di impotenza che, nella maggior parte dei casi, sono davvero difficili da gestire.

Dalla parte dei genitori

In altri termini il genitore si rifiuta letteralmente di associare una malattia potenzialmente letale al proprio bambino, in quanto quest’ultimo, è visto dalla mamma e dal papà come una creatura immortale (nel senso che sicuramente sopravvivrà loro). Se il cancro, dunque, fa già paura di per sé, l’idea che esso possa colpire il proprio bambino è totalmente destabilizzante.

Tuttavia è necessario prendere consapevolezza del fatto che il proprio figlio, in questa fase delicatissima, necessita di protezione e coraggio e, pertanto, arrendersi, è assolutamente vietato.

Un ruolo cruciale, in questo senso, viene ricoperto dagli infermieri del reparto oncologico in cui il piccolo paziente è stato ricoverato.

Medici e infermieri: preziosi intermediari

Nel campo dell’assistenza infermieristica prendersi cura e sostenere i piccoli pazienti oncologici e le loro famiglie, rappresenta uno degli aspetti più spinosi e complessi.

L’infermiere, infatti, spesso si troverà a fungere da intermediario tra i parenti e i medici, a spiegare nel dettaglio le terapie e a descrivere come, presumibilmente, si evolverà il programma medico nei mesi successivi.

Inoltre egli dovrà anche provvedere a garantire al bambino il benessere fisico, psichico e sociale. D’altra parte fra l’operatore sanitario e il piccolo si instaurerà una sorta di legame privilegiato costruito sulla fiducia e sula complicità: il bambino, infatti, più che con i genitori sarà portato a confidarsi con l’infermiere, rivelandogli tutte le sue paure e affidandosi a lui nei momenti di scoramento.

Il professionista, dal suo canto, tenterà di trasformare le fragilità del piccolo in coraggio e lo sosterrà nella sua battaglia, migliorando in maniera significativa la sua qualità di vita all’interno dell’ospedale. Frattanto i genitori, che inizialmente percepivano il reparto oncologico come un luogo freddo e ostile, col tempo, imparano a considerarlo una sorta di tempio della salvezza per il proprio piccolo. 

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