Non chiamiamoli più ‘Terribili’ Due!

3 luglio 2025 –

I famosi Terrible Two sono spesso descritti come una fase di crisi: capricci improvvisi, gesti di rifiuto totale, pianti senza motivo, scoppi di rabbia. Ma ridurre i due anni a un’etichetta negativa è non solo ingiusto, ma anche fuorviante.

Quello che molti genitori vivono come un momento “terribile” è, in realtà, una fase fondamentale e meravigliosa della crescita del loro bambino.

I due anni: esplosione evolutiva, non crisi

Partiamo innanzitutto nel dire che attaccare questa etichetta ai bambini di due anni è spesso fuorviante, soprattutto per i genitori che la affrontano un poco prima oppure molto tempo dopo. E se è già un momento di confusione per i genitori, che non capiscono cosa stia succedendo al loro bambino, dovremmo cercare di fare chiarezza e dire che è una fase importantissima nella definizione della loro identità, dei loro limiti e della personalità.

A due anni, il bambino non sta solo dicendo “no” per capriccio. Sta imparando a dire “io”. Inizia a percepirsi come un individuo separato, a riconoscersi allo specchio, a voler decidere da solo. Il “no” ripetuto non è una ribellione gratuita, ma una scoperta della propria volontà. È attraverso “no”, “io” e “mio” che prende forma il primo pensiero autonomo.

In questa fase, il bambino si allena a conoscere e gestire le proprie emozioni. Non è una “sfida” contro i genitori, ma una richiesta inconscia di essere accompagnato nella crescita.

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È normale che il bersaglio principale sia la figura di riferimento – molto spesso la madre – perché è con lei che si sente più sicuro, pur temendo ancora di “confondersi” con lei. E allora, afferma se stesso opponendosi.

Dietro ai capricci, il bisogno di sicurezza

Ogni “no” nasconde anche un “aiutami”. Il bambino vuole esplorare, ma ha paura dell’ignoto. Vuole fare da solo, ma ha ancora bisogno della vicinanza rassicurante del genitore. È un’altalena di emozioni che richiede pazienza, empatia e comprensione.

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In questo senso, i “Terrible Two” non sono una fase da sopportare, ma una vera palestra emotiva: il piccolo impara a tollerare la frustrazione, a gestire la rabbia, a confrontarsi con i limiti. Ma per farlo ha bisogno di una guida stabile e calma, che lo aiuti senza sostituirsi a lui.

Cosa possono fare i genitori

Non serve reagire con durezza. Urlare o punire in preda all’esasperazione non può che peggiorare le cose. Il primo passo è riconoscere che la crisi appartiene al bambino, non a noi. Il nostro compito è contenere, non combattere.

Ecco alcuni accorgimenti che possono aiutare:

  • Mantenere la calma: solo un adulto sereno può aiutare un bambino agitato a ritrovare la sua tranquillità. Se serve, prendiamoci un momento per respirare o allontanarci brevemente.
  • Accogliere le emozioni: abbracciare il bambino dopo una crisi significa dirgli “ti vedo, ti capisco, sei al sicuro con me”.
  • Dare regole semplici e coerenti, come routine chiare per i pasti, il sonno, l’igiene. I bambini amano la prevedibilità, perché li fa sentire al sicuro.
  • Offrire autonomia in sicurezza: lasciamo che si mettano le scarpe da soli, che ci aiutino ad apparecchiare, che provino e sbaglino. Ogni piccola conquista è un passo verso la fiducia in sé.
  • Prevenire le situazioni critiche: evitiamo ambienti sovrastimolanti quando possibile. Un bambino stanco o sovraccarico sarà più incline a crisi di nervi.
  • Stimolare il movimento: saltare, arrampicarsi, rotolare sul divano sono attività fondamentali. Allestiamo spazi sicuri per permettere al corpo di esprimersi liberamente.
  • Concludere con rilassamento: dopo il gioco attivo, passiamo a un momento di calma: musica soft, coccole, letture.

Non è una sfida, è crescita

Il comportamento oppositivo del bambino non è un attacco personale. È un passaggio, spesso faticoso ma necessario, verso l’autonomia. Etichettarlo come “terribile” non aiuta nessuno, né noi genitori né loro.

Allora cambiamo prospettiva. Guardiamo i due anni non come un tunnel da attraversare, ma come un cammino pieno di sorprese da condividere. Con i suoi scossoni, certo, ma anche con la sua bellezza. Perché ogni “no” nasconde un “sto diventando me stesso”.

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