Scoperto il sesto gusto: l’oleogusto, tipico dei cibi grassi

Quando mettiamo sotto i denti dei cibi grassi il nostro palato è in grado di riconoscerli basandosi non sulla loro consistenza, ma sullo specifico sapore che questi alimenti presentano: è quanto emerge dai risultati di una ricerca condotta dagli studiosi della Purdue University e pubblicata di recente sulla rivista “Chemical Senses”.

Sembrerebbe quindi che accanto ai 5 gusti finora conosciuti, vale a dire dolce, salato, agro, amaro e umami (quest’ultimo identifica il sapore tipico del glutammato), ce ne sia un sesto: si tratta di quello che gli esperti chiamano – con un nome di origine latina – oleogusto, un sapore che rende distinguibili al palato gli acidi grassi. 

Per arrivare a questa scoperta è stato condotto un esperimento che ha coinvolto un campione iniziale di 54 persone, poi ridotto alle 28 che hanno mostrato di avere un palato più raffinato e sensibile a captare i sapori. I ricercatori hanno fatto assaggiare ai partecipanti all’esperimento diverse miscele private di odore e consistenza, in modo che fossero distinguibili solo per il gusto: il risultato ha mostrato che il 64% degli assaggiatori è stato in grado di identificare le miscele di acidi grassi in mezzo ad altre di diverso sapore.

Da qui, dunque, si deduce che gli alimenti grassi sono dotati di un loro specifico sapore. La cosa per certi aspetti bizzarra e forse difficile da credere è che l’oleogusto non ha un sapore gradevole, tutt’altro: ricorda piuttosto quello del cibo rancido e addirittura stimola il riflesso della nausea.

Ma perché allora gli alimenti grassi ci piacciono così tanto? La risposta sembrerebbe stare nel fatto che nei cibi gli acidi grassi sono sempre mescolati ad altre sostanze, delle quali esaltano il sapore. Insomma, qualcosa come l’amaro del caffè o della cioccolata, che preso isolatamente sarebbe sgradevole, ma nel complesso ci piace.

La scoperta dell’oleogusto aiuta a capire meglio come i recettori sensoriali del nostro corpo decodificano il sapore del grasso, e potrebbe portare a riflessi importanti nella lotta all’obesità.

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