Le donne lavorano troppo e non vengono pagate

Forse è ora di finirla di continuare a concentrarsi sui dati preoccupanti relativi al problema della disoccupazione femminile e cominciare a interrogarsi, piuttosto, su quante sono le donne che quotidianamente svolgono tutta una serie di mansioni, talora anche rischiose, senza vedere il becco di un quattrino a fine mese. A parlarcene nel dettaglio sono i dati assolutamente oggettivi rilevati dall’Oecd, ovvero l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico.

Secondo l’interessante report messo a punto dall’Oecd, esiste un gap abissale tra il tempo che le donne investono nei lavori non retribuiti rispetto a quello speso dai loro colleghi uomini per la medesima tipologia di lavori. Per mestieri privi di ricompensa, lo ricordiamo, ci riferiamo tutti quelli che si svolgono all’interno della propria abitazione o comunque nei confini del proprio contesto familiare: gestione della casa, cura ed educazione dei figli o dei genitori anziani, spesa effettuata per tutti i membri della famiglia, lavori in cucina, ecc.

Basti pensare che ogni donna italiana in media trascorre ogni giorno 315 minuti a occuparsi delle faccende di casa o comunque a prendersi cura di qualche membro della famiglia, contro gli appena 105 minuti di un uomo. Non stanno messi meglio paesi come la Turchia, l’India, il Messico e il Portogallo.

A questo punto sorge spontanea una domanda: esiste forse un nesso tra basso livello occupazionale femminile e tempo considerevole che le donne trascorrono in casa, supplendo anche al lavoro che, per par condicio, toccherebbe al proprio partner?

Insomma se in Italia e in Turchia il tasso di disoccupazione rosa è più alto, appare evidente che esso sia anche dovuto al fatto che le donne hanno meno a tempo a disposizione da investire nella ricerca di un lavoro rispetto a un uomo; e, seppure dovessero trovarlo, considerate le loro incombenze domestiche, sarebbero con buona probabilità costrette a optare per un part-time.

Ci appare evidente che i tempi siano ormai maturi per abbandonare vecchi cliché discriminatori, secondo cui la casalinga, lungi dall’essere penalizzata dalla propria condizione, è solo una donna accudente e premurosa che si limita a fare il proprio dovere all’interno delle mura domestiche. 

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