La costringono a fare il test di gravidanza, poi la licenziano

23 febbraio 2024 –

In Sardegna, un’impresa di pulizie decide di licenziare una giovane di vent’anni a seguito della comunicazione della sua gravidanza, ritenendola inadatta al ruolo per cui era stata assunta. La Cgil interviene: questi abusi sono inammissibili.

La costringono a un test di gravidanza per confermare l’assunzione

In Italia, nel 2024, sarebbe vietato rimanere incinta per alcune lavoratrici. È l’ennesima storia di una giovane donna in gravidanza: vent’anni, impiegata con un contratto in una ditta di pulizie di Nuoro a novembre e poi licenziata dopo la comunicazione della gravidanza a gennaio. La vicenda è ora oggetto di valutazione da parte dell’Ispettorato del lavoro di Nuoro, della Asl locale e dell’Inps.

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La giovane ha raccontato alla Cgil che già a dicembre, la sua datrice di lavoro le aveva dato un test di gravidanza, chiedendole di effettuarlo nel bagno dell’azienda alla fine del suo turno e poco prima della conclusione del suo periodo di prova, davanti a due colleghi uomini. Il test risultò negativo in quella circostanza. Ha spiegato la ragazza al giornale la Nuova Sardegna:

Ho iniziato a lavorare per una impresa di pulizie a novembre dello scorso anno e dopo due settimane è stata proprio la titolare a portare il test sul luogo di lavoro. L’ho fatto perché ancora non sapevo neanche di essere incinta e perché è stata lei a dirmi che se non lo avessi fatto, mi avrebbe licenziata in tronco

«Le sembrava strano», dichiara all’agenzia Agi Domenica Muravera, segretaria generale della Cgil di Nuoro e della Filcams Cgil regionale, che ha contestato il licenziamento. «Ma, essendo giovane e desiderosa di tenersi il lavoro, senza una piena consapevolezza dei propri diritti, ha accettato di sottoporsi al test, una richiesta illegittima. È inaccettabile che un datore di lavoro possa esercitare controllo sul corpo di un individuo».

La comunicazione della gravidanza e il licenziamento

Ma la scoperta della gravidanza avviene successivamente. A gennaio, a causa di continue nausee, la donna si rivolge al consultorio di Nuoro, dove le confermano che è incinta. La ginecologa le prescrive un’astensione anticipata dal lavoro per gravidanza a rischio per un mese, dal 18 gennaio al 25 febbraio.

Il 25 gennaio, la giovane si rivolge al patronato Inca Cgil per inviare la notifica telematica dello stato di gravidanza all’Inps e alla datrice di lavoro. Il 16 febbraio segnala al sindacato di non aver ancora ricevuto lo stipendio di gennaio. Nel frattempo, sollecita la datrice di lavoro che, tramite whatsapp le comunica tramite il licenziamento per giusta causa, inviandole la notifica Unilav.

L’Italia non è un paese per donne incinte, di cosa ci stupiamo?

La ragazza porta quindi il caso all’attenzione di patronato e all’ispettorato del lavoro. Racconta ancora alla Nuova Sardegna:

È tutto surreale, sono stata anche accusata di malafede e di aver celato la gravidanza. Nel 2024 queste situazioni non dovrebbero verificarsi e ci dovrebbe essere maggiore sensibilità verso casi come questo.

La ditta sostiene che la gravidanza costituisca un impedimento per le funzioni richieste alla lavoratrice, la quale viene accusata di aver omesso di comunicare la sua condizione. La Cgil considera il licenziamento nullo, data l’assenza di una comunicazione formale, e richiede il reintegro immediato della giovane.

Come ha dichiarato la Segretaria Filcams Muravera, abusi del genere sono inammissibili. In un paese in cui ci lamentiamo che la natalità è bassa e in cui tutti dicono che servono politiche attive per il lavoro e per la famiglia è questo il meglio che riusciamo a fare?

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