Scegliere di morire a casa, si può a 5 anni?

La morte non è una scelta, ma scegliere dove morire, quando si sa di non avere speranze, è possibile. Questa è in sunto la situazione della piccola Julianna Snow, una bambina di soli 5 anni che vive a Portland, in Oregon.

La piccola è affetta da una rara malattia, la sindrome di Charcot-Marie-Tooth, una forma di neuropatia ereditaria, che non lascia nessuna speranza di guarigione. Ad aver suscitato grandi polemiche, però, è la decisione della piccola, avallata dai genitori, di morire in casa invece che in ospedale.

Ma cosa fa tanto scalpore di questa decisione?

Bene, sembra che la piccola sia giunta a questa conclusione dopo un dialogo con la mamma nel quale questa le spiegava come, qualora non si fosse voluta presentare in ospedale alla prossima emergenza, sarebbe potuta morire. La morte che la madre ha spiegato alla bambina è fatta di un ipotetico paradiso dove, prima o poi, anche lei l’avrebbe raggiunta. La bambina quindi, consapevole, avrebbe deciso di restare comunque a casa e di morire nel suo ambiente familiare invece che in un letto d’ospedale.

Secondo una parte dell’opinione pubblica però la mamma avrebbe “ingannato” la bambina raccontandole del paradiso, e quindi la scelta della piccola sarebbe stata viziata da questi racconti. Gli psicologi, invece, sostengono che la bimba sia assolutamente consapevole della sua condizione.

Bene, facciamo un inciso a questo punto.

Cosa è giusto fare in certi casi?

La prima domanda che viene spontanea è: ha un bambino così piccolo diritto di scegliere dove morire? Può davvero essere consapevole della sua condizione? E in secondo luogo, cosa dovrebbero raccontare i genitori a un bambino che non ha speranza di guarigione? Siamo davvero sicuri di avere sempre la risposta in tasca infiocchettata e lucida, o forse tante volte sarebbe bene tacere in forma di rispetto del dolore altrui?

Quello che accade è che con la comunicazione socio-mediatica odierna tutti ci ergiamo a giudici di tutto, perdendo troppe volte l’occasione per stare in silenzio laddove il dolore di una famiglia trascende ogni ragionevole dubbio.

E allora, sì, allora va bene far credere a una bambina che ha paura di restare sola dopo la morte, che esista un paradiso, un luogo dove incontrerà la sua mamma e il suo papà un giorno.

E allora va bene far sì che il passaggio avvenga in modo meno violento. Che poi il paradiso ci sia non è compito nostro stabilirlo, chi ha fede, chi non la ha, poco importa, quello che conta è che c’è una madre che sta per perdere la sua bambina e che il desiderio della piccola è quello di non andare in ospedale. Si può essere d’accordo o meno, si può disquisire sulla capacità di scelta della bimba, ma non si può sindacare su cosa una madre scelga di raccontare.

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