Bambini timidi: è davvero un problema?

Gli esperti in puericultura sono discordi circa la questione “timidezza” e i bambini timidi. Taluni ritengono che sia un problema da risolvere con un intervento esterno ad hoc, mentre altri la considerano una peculiarità caratteriale che va accettata e, perché no, apprezzata.

Questi ultimi, infatti, affermano che la timidezza, lungi dall’essere un problema da risolvere, è una vera e propria ricchezza interiore che merita il massimo rispetto. Insomma, malgrado essa spesso sia interpretata in chiave negativa e vissuta come un limite dai genitori, in realtà è una caratteristica che supporta i bambini nel processo di costruzione della propria personalità.

Come comportarsi con i bambini timidi

Rispettare la timidezza dei propri figli significa non forzarne a ogni costo la vita sociale, nella speranza che acquisiscano nel più breve tempo possibile l’estroversione e l’apertura nei confronti del prossimo.

Molti di loro, infatti, non si sentono pronti a partecipare ad attività collettive e a condividere il proprio tempo con terze persone. Bisogna, in altri termini, lasciare ai bambini timidi il tempo di cui necessitano per sentirsi a proprio agio in gruppo, fermo restando che non necessariamente il bambino espansivo e spigliato sia migliore di quello introverso.

Timidezza e intelligenza

Il bambino timido sta sulle sue non perché non sia in grado di interagire o di prendere l’iniziativa, ma perché preferisce riflettere prima di buttarsi nella mischia, valutando tutti i possibili vantaggi e svantaggi di una determinata situazione.

Egli, inoltre, è anche molto intelligente e sensibile e, in virtù di queste qualità, saprà trovare autonomamente la forza per superare il suo stato d’animo e il disagio che prova quando si trova in mezzo agli altri.

No a troppe figure di riferimento!

D’altra parte così come non è consigliabile forzare la vita sociale dei bimbi timidi, è altrettanto inopportuno affibbiare loro troppe figure di riferimento (la zia, il nonno, il cugino più grande) nella speranza che terze persone siano in grado di “sbloccarli”.  In questo modo, infatti, si rischia esclusivamente di confondere il piccolo, senza raggiungere lo scopo desiderato.

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