Cara, lascio il lavoro e faccio il mammo!

Facile dire “Un figlio si fa in due!”, quando poi, dal momento del parto in poi, la cura del bambino è affidata, quasi completamente, alla mamma.

Donne lavoratrici, con un sogno di carriera, spesso ambiziose, che si ritrovano, per non dover pagare le rette di asili dai prezzi stellari o per mancanza di appoggi sociali a cui lasciare in custodia il piccolo, anche per poche ore, a dover rinunciare al posto di lavoro.

E se a lasciare il lavoro… fossero i papà?

Eppure, qualcosa sembra stia cambiando.

I segnali, anche se ancora molto flebili, arrivano da una testimonianza del comune di Mantova, che rende pubblico il fatto che nel corso del 2015 ben 5 papà hanno deciso di lasciare la carriera professionale per dedicarsi alla cura esclusiva della prole.

Ma è davvero obbligatorio lasciare il posto di lavoro, sia per le mamme che per i papà, per inseguire il sogno di una famiglia?

A dirla tutta, le Istituzioni hanno varato nuove norme e regolamentazioni migliorative per i neogenitori.

Cosa succede ai papà che decidono di restare a casa dal lavoro

In particolare, in aggiunta al congedo di maternità obbligatorio, in Italia è possibile usufruire di un congedo di paternità, composto da due giorni obbligatori e due facoltativi, retribuiti pienamente.

Durante il primo anno del piccolo, inoltre, il genitore lavoratore può richiedere il congedo parentale facoltativo: un periodo di stop dalle fatiche dell’ufficio per dedicarsi alla famiglia, che non può superare i 10 mesi. Lo stipendio, per chi decide di avvalersi di questo congedo viene decurtato del 70% per i primi 6 mesi di dì vita del piccolo e totalmente trattenuto nei mesi successivi.

Sono misure sufficienti? Probabilmente no: lo dimostra il tasso di adesione dei padri al congedo facoltativo, che si attesta solo al 12%. Il motivo? Come si manda avanti una famiglia con solo il 30% dello stipendio?

Chiediamolo alle Istituzioni!

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