E’ tempo di mare, ma attenzione a braccioli e ciambelle

Pronti per partire? Ormai, per chi non le sta già facendo, le vacanze estive sono alle porte e fervono i preparativi tra valigie, teli da spiaggia e giochi per il mare. E se i bimbi sono ancora piccini, i braccioli o le ciambelle sono d’obbligo. Attenzione però a quali scegliamo!

Stando ai risultati di costanti analisi dell’Ente certificatore tedesco Tüv Rheinland nel corso degli ultimi anni, infatti, è emerso che circa la metà dei prodotti gonfiabili, come materassini, salvagenti e galleggianti dalle forme più strane, contengono sostanze tossiche, particolarmente pericolose per i bambini che ne stanno a diretto contatto. Soprattutto per l’alta concentrazione di ftalati, mix di sostanze chimiche usate per rendere la plastica più morbida. E il dato allarmante è che essi sono presenti non solo nella plastica, ma anche nel beccuccio usato per gonfiare, con un rischio di inalazione altissimo, non solo per gli adulti, ma anche per i bambini.

Alcuni, poi, non svolgerebbero neppure la loro azione di “salvagente” mettendo a rischio l’incolumità stessa degli utenti, soprattutto dei più piccoli. Nei test svolti, infatti, il manichino usato per simulare il bambino, si ribaltava in acqua nella maggior parte dei casi. A monte c’è un non rispetto delle specifiche norme europee di costruzione del gonfiabile, in particolare della EN13138-3, con dei progetti di costruzione sbagliati. Nella ciambelle contenitive, ad esempio, la mutandina è troppo alta e non immerge a sufficienza il bambino in acqua, rischiando così di farlo ribaltare ad ogni movimento brusco. Inoltre, sempre secondo la normativa, i galleggianti dovrebbero avere due camere d’aria, mentre nella maggior parte dei casi ce n’è solo una.

I campioni analizzati sono stati acquistati nei luoghi più diversi, dai supermercati, ai grandi magazzini, dalle bancarelle del mercato agli ambulanti sulle spiagge. I risultati sembrano leggermente migliori per gli acquisti nei grandi magazzini, ma, forse, è solo un caso, dal momento che tutti i prodotti analizzati erano “made in China”.

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