Essere incinta non significa essere malata: Chiara Appendino e l’appello sulla gravidanza

Chiara Appendino, sindaca di Torino, ha scritto un lungo post su Facebook parlando della sua gravidanza e di una condizione comune a milioni di donne, discriminate nel mondo del lavoro per il solo fatto di essere incinta. Bisogna svoltare, capire che “essere incinta non significa essere malata”.

Il post di Chiara Appendino sulla gravidanza

“Sono ormai al settimo mese di gravidanza. Un pancione, che negli ultimi mesi si è fatto via via più ingombrante, mi tiene buona compagnia”. Inizia così il post pubblicato su Facebook dalla sindaca Appendino, decisa a richiamare l’attenzione su un argomento che investe moltissime donne e del quale non si parla mai abbastanza.

L’aspetto che la prima cittadina della città della Mole desidera sottolineare è quello che riguarda una diffusa discriminazione nel mondo del lavoro per le donne in attesa di un figlio. A questo proposito la sindaca precisa: “Io ho lavorato e sto continuando a lavorare. Certo, bisogna fare i conti con le nausee dei primi mesi (chi le ha) e con alcune attività che portano ad affaticamento eccessivo che vanno evitate, ma diciamo che, nel mio caso, il 90% delle attività si possono portare avanti senza particolari problemi”. Un modo per dire che una donna incinta non è certo impossibilitata a svolgere la propria mansione, soprattutto se non le è richiesto un tipo di lavoro prettamente fisico.

Chiara Appendino: “Essere incinta non significa essere malata”

Quello che la sindaca del capoluogo piemontese intende rimarcare è che “in generale si tratta di un processo – anche culturale – di “normalizzazione” della gravidanza. Di creare quella consapevolezza del fatto che essere incinte non significa essere malate. Frase spesso scritta e detta ma raramente davvero interiorizzata”. Rispetto a questo punto, Appendino accoglie positivamente la recente svolta legislativa che “ha dato la possibilità alle donne di lavorare fino al nono mese, a patto di avere un parere medico favorevole. Spostando il congedo di maternità ai cinque mesi successivi al parto”. Ciò che è importante a suo avviso è “cambiare il punto di vista sull’intera vita professionale della donna (ma anche degli uomini, sia chiaro)”. Entrando nel dettaglio Appendino auspica l’introduzione di “strumenti normativi” che facilitino quel “salto culturale” che ancora oggi in Italia non è stato compiuto e che veda uno Stato “pronto ad accompagnare la donna durante tutta la maternità, a partire dai servizi di welfare”.

Il problema che si presenta a milioni di donne quando vogliono mettere sù famiglia è sempre lo stesso: scegliere tra carriera e lavoro. Proprio questo è l’equivoco da cui bisogna uscire una volta per tutte. Rendersi conto, ma soprattutto far comprendere, che la gravidanza non è una condizione da interpretare come una patologia. Certo, ci sono delle giornate in cui il bimbo che cresce nella pancia reclama le sue attenzioni, ma credere che solo le donne abbiano a che fare con sensazioni simili significa fare torto all’intelligenza comune. Basta essere onesti: agli uomini non capita mai di lavorare mentre hanno – com’è normale – la testa affollata da altri pensieri? Ecco, non si vede perché la donna dovrebbe essere penalizzata. Da qui l’appello di Chiara Appendino: “Vorrei un mondo dove ogni donna e ogni uomo hanno il diritto di diventare genitori in piena libertà, al riparo da ogni paura, con tutti gli strumenti normativi che uno Stato moderno può mettere a disposizione”.

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