Il doppio trauma dei bambini riportati in strutture di accoglienza dopo affidi falliti

Sempre più spesso, si verificano casi di affidi falliti. Bambini e adolescenti “riportati indietro” e restituiti alle strutture di accoglienza, perché “difficili”, fragili, o perché le famiglie che accolgono, non sono abbastanza preparate a determinate situazioni. Ecco la drammatica situazione nella nostra penisola.

Affidi falliti: cosa sono e di chi è la colpa

Quando un progetto di affido fallisce, oltre all’amarezza degli operatori e alla frustrazione della famiglia che non riesce a portare a termine l’impegno preso, si deve considerare principalmente il vissuto dei piccoli protagonisti.
Bambini e ragazzi che provengono da situazioni familiari delicate e talvolta drammatiche, di abusi, violenze e privazioni. Percorsi difficili che richiedono non solo amore, ma anche tanta pazienza e capacità di rapportarsi e confrontarsi con un mondo che non ci appartiene.
Ma i genitori affidatari hanno gli strumenti adatti per sostenere determinate situazioni?
A chi imputare la colpa della terribile esperienza del rifiuto e dell’abbandono che alcuni bambini vivono per la seconda volta?

Il dramma dei bambini “riportati indietro”

Non capita soltanto nei film. Purtroppo si tratta di storie vere e non si verifica neanche raramente.
Erika, ora ventenne, aveva due anni quando era stata affidata ai servizi sociali.
Per permettere alla mamma di stare con lei, e di ricevere il supporto nella acquisizione del ruolo genitoriale, entrambe erano state prese in carico dai servizi sociali, ospiti in una casa di accoglienza per minori e giovani mamme che necessitavano sostegno.
Erika non era autonoma. Non parlava. Era magra e gracile.
Erika urlava e sbatteva la testa per comunicare.
Le mamme ospiti della struttura, quando assistevano alle scene della piccola, chiamavano le educatrici.
La mamma era con lei, ma era assente.
Non era in grado di prendersi cura di quella piccola, così bisognosa di amore e attenzioni.

La prima famiglia che “prese” Erika rimase sconvolta dal modo di comunicare di quella bambina così vuota e bisognosa di una figura che si dedicasse a lei. Così i due genitori, maturi e ben inseriti nel con testo sociale, la riportarono alla casa di accoglienza. Tanta frustrazione. Tanto dolore, soprattutto per la piccola, confusa, persa.
Arrivò una seconda famiglia. Un altro percorso di conoscenza con questa bambina difficile. Un po’ di perplessità ma la famiglia, supportata dalle educatrici, riuscì a entrare nel mondo di Erika.
Così la piccola Erika ha incominciato lentamente a diventare una bambina. A riprendersi la sua infanzia. A parlare, a ridere e a giocare. Cose che non faceva mai prima.

Tribunali poco attenti? Ecco le risposte

Le assistenti sociali, educatori e operatori che quotidianamente lavorano con bambini e famiglie speciali, e che si sono trovati nella condizione di dover “riprendere” i bambini dati in affido, un’idea ce l’hanno.

Molto spesso gli abbinamenti minore/ famiglia affidataria vengono fatti senza tenere in considerazione alcuni aspetti fondamentali per il corretto inserimento nella famiglia e per il risultato positivo dell’affido.

Le famiglie, se esaminate attentamente non risultano idonee a supportare alcune delicate situazioni, per svariati motivi

  • non posseggono gli strumenti per aiutare il bambino/ adolescente
  • si considera l’affido una scorciatoia rispetto all’adozione
  • non sono pronte ad accogliere bambini imperfetti

Gli affidi falliti si verificano sempre più spesso, e nel corso del 2021 proprio per i casi sopra indicati, si sono verificati tanti, troppi casi di bambini riaccompagnati alla porta delle case di accoglienza.

Più informazione e formazione, per le famiglie disponibili

Il suggerimento, per alleggerire la situazione e rendere il percorso di affido più gestibile e meno complesso, è quello di aiutare le famiglie con corsi di formazione, atti ad agevolare nella gestione dei casi anche più complessi, e ad una maggiore informazione, sfatando la convinzione di una situazione idilliaca con un bambino perfetto.
Anche gli operatori dovrebbero essere maggiormente preparati nel supportare e favorire le famiglie che si impegnano ad accogliere bambini con vissuti difficili e traumatici.

Secondo Stefania Ascari, deputata del M5S autrice di una legge delega per la riforma del sistema dell’affido, sarebbe importante aggiungere “l’obbligo di un anno di formazione specifica post laurea con tirocinio, per gli operatori dei servizi sociali che vogliono occuparsi di minori e di fragilità – afferma Ascari sulle pagine di Repubblica – molte famiglie affidatarie, che spesso hanno anche figli propri, fanno un lavoro sociale straordinario, ma vanno aiutate”.

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