L’importanza della capacità empatica tra genitori e figli

Avete presente quando, nei nidi ospedalieri del reparto ostetricia, un neonato inizia a piangere e tutti gli altri suoi vicini di culla gli fanno l’eco, iniziando a strillare insieme a lui? Stando a studi sperimentali, si tratterebbe di una delle prime manifestazioni della cosiddetta “capacità empatica”, una sorta di contagio emotivo riflesso che mette in relazione più individui.

Tale capacità empatica è particolarmente importante, nel corso degli anni e durante la crescita dei bambini, tra genitori e figli. Mamma e papà dovrebbero, soprattutto nei momenti in cui i bambini combinano guai o sono agitati, scontrosi, irritabili, cercare di porsi sulla loro stessa lunghezza d’onda per capire cosa si cela dietro il loro comportamento. Solo in questo modo, infatti, si riuscirà a gestire in maniera sana le relazioni famigliari. Quindi, se un bambino è arrabbiato, la cosa migliore è dimostrargli com-prensione (dal latino cum – prehendere, “accogliere”) e sim – patia (dal greco “provare gli stessi sentimenti”).

Rimproverare a gran voce, mettere in castigo, rivolgersi al bambino in maniera sgarbata, non sono le soluzioni migliori, anche se è vero che, spesso, l’esasperazione vince sul buon senso. Bisogna cercare di verbalizzare il suo stato d’animo, dicendo chiaramente: “sei arrabbiato, cerchiamo una soluzione”. In questo modo, il bambino si renderà conto che ci stiamo occupando di lui e che ci stanno a cuore i suoi sentimenti. Chiedendogli di raccontare che cosa prova e rendendoci disponibili all’ascolto, lo aiuteremo a mettere in ordine i pensieri e gli faremo capire che su di noi può contare, sempre.

Anche se, da parte di mamma e papà, non è sempre facile non alterarsi di fronte ai comportamenti sbagliati del figlio, bisogna capire che reagire in questo modo è poco costruttivo e, a ben vedere, inutile. Di fronte ai capricci, infatti, non serve a nulla dare in escandescenza, anzi…gli stessi capricci sono, molto spesso, la conseguenza di una serie di richieste non colte e di segnali inascoltati. Sono campanelli di allarme di una fragilità emotiva che ha bisogno di aiuto, non del nostro rifiuto.

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