Perché decidere di fare la primina non è una scelta davvero libera

Molti di noi, in questo periodo dell’anno, tra lista dei regali di Natale, pacchetti e letterine, stanno impazzendo per capire quale sia la decisione migliore per il proprio figlio: anticipare o meno l’ingresso alla scuola primaria. Parliamoci chiaro, per chi può fare questa scelta, non è facile decidere: se si parla dei nostri figli, capire quale sia la cosa migliore ha un peso non da poco.

Fare o meno la primina è una scelta che coinvolge tutti i bambini nati da gennaio sino ad aprile, bambini per i quali si può scegliere se far frequentare un altro anno di scuola materna (il terzo) o la scuola elementare, senza aver compiuto i sei anni.

Anticipatari: uno scetticismo (troppo?) condiviso

Nell’ultimo periodo c’è una tendenza a ritardare l’ingresso alla primaria per evitare, da un lato, di sovraccaricare i bambini di eccessivi impegni, mentre dall’altro si tiene conto molto dell’aspetto emotivo dei più piccoli.

Di fronte ai tanti, forse anche troppi no, da parte di chi lavora nella scuola elementare e anche di molti genitori, è difficile fare la propria scelta in serenità.

Chi sta facendo gli open day, in questi giorni, starà cercando la propria risposta, in un mare di no nel quale è difficile non annegare.

Chi sta affrontando questo tema si domanda perché la legge ci offra la possibilità se poi, nella pratica, nessuno ti accoglie, nel senso pieno del termine. Ovvio che se di decide di anticipare di un anno la scuola, nessuno potrà impedircelo, ma sapere che il bambino venga preso con scetticismo è un ostacolo non da poco.

Ecco i no che, personalmente, ho raccolto:

  • No, perché sarà più lenta
  • No, perché farà più fatica
  • No, perché non c’è fretta
  • No, perché sarà la più piccola
  • No, perché avrà problemi relazionali
  • No, perché si confronterà con bambini troppo grandi
  • No, perché la differenza si vedrà anche alle superiori

Quello che io mi domando, di fronte a tutte queste rimostranze che, per onor di cronaca, sono state avanzate per una bambina nata i primi di gennaio, è: ma possibile che chi ci ha offerto la possibilità dell’anticipo non abbia vagliato, prima di decidere, i lati negativi suddetti? È possibile che, con la leggerezza di un pomeriggio fra amici, si sia legiferato in tal senso?

Ma, soprattutto, di fronte a questi pesantissimi No, se mia figlia dovesse avere problemi scolastici, di apprendimento o di relazione, le maestre e i maestri se ne faranno carico o, più semplicemente, lanceranno la palla a noi, attribuendo un eventuale disagio al lato anagrafico?

Le maestre ed i maestri, pur dicendo che la decisione è nostra, ci lanciano un continuo allarme

Un allarme che sembrerebbe essere acceso sino alla fine dell’università. Quell’anno in meno sarebbe un problema perenne sino al termine della vita accademica. Dal punto di vista di rendimento ma soprattutto emotivo.

“Non te lo consiglio, io ho parlato con un psicologo, io con la pediatra, io con un pedagogista e mi hanno detto NO”. Possibile che nessun professionista sia stato consultato, in sede istituzionale?

Possibile che ci sia davvero un abisso incolmabile tra bambini nati a settembre e quelli nati a gennaio?

Nessuno crede che anticipare significhi arrivare prima ad una gara di corsa, altri sono gli elementi sui quali si valuta questa decisione. Eppure, per un bambino di gennaio o di febbraio per il quale si chiede questa opportunità, non c’è che un’etichetta: genitori ambiziosi e poco coscienziosi che vogliono strappare il proprio figlio da un anno di gioco.

Allora cosa fare? La matassa è troppo grossa. Per sbrigliarla ci dicono di guardare nostro figlio, di parlare con le educartici dell’infanzia ma che poi iscriverlo prima non va bene, a prescindere.

In bocca al lupo a tutti noi, quindi, e speriamo di fare la cosa giusta. La scuola è la seconda famiglia per i nostri bambini, e, come facciano noi, dovrebbe amare ed accogliere tutti senza etichette. E poi, quando sarà l’ora di giudicarli, farlo senza pregiudizi.

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