Il mio sguardo di papà non sarà mai come quello di una mamma

Il mio sguardo di papà non sarà mai come quello di una mamma. Non c’è niente di più sbagliato che chiamare “mammo” un papà che si occupa dei propri figli. Innanzitutto perché non si tratta di una parola “neutra” ma esprime un giudizio o, meglio, un pregiudizio.

E’ capitato, fortunatamente poche volte, che qualcuno mi dicesse che “faccio il mammo” quando sto con mia figlia, ma quella parola è sempre stata accompagnata da un sorrisetto che tradiva le intenzioni di chi la stava usando.

In realtà, ripensando alla mia esperienza, ho realizzato che un papà, pur occupandosi della quotidianità dei bambini, e compiendo gli stessi gesti, non lo farà mai come una mamma. Non voglio dire né meglio né peggio. So solo che lo farà in modo diverso. Le mamme possono tirare un sospiro di sollievo, nessun papà sta tentando di privarle del loro ruolo. La mamma è la mamma. Sembra banale dirlo ma è così.

Anche quando cambio un pannolino, quando mi occupo della pappa, quando preparo il bagnetto, quando gioco in casa, quando vado al parco, quando penso alla nanna, mi rendo conto che lo faccio partendo da una prospettiva diversa da quella che, di solito, avrebbe una mamma.

Non so da cosa dipenda questo punto di vista differente.

Mi sono chiesto se sia un fatto di precisione o attenzione.

Effettivamente quando sto con mia figlia può succedere con grande probabilità che:

– dopo il bagnetto ci siano in giro molti più schizzi di acqua e sapone. E i miei vestiti siano più bagnati di quando se ne occupa la mamma.

– durante la pappa, il famoso aeroplanino che fa arrivare il cucchiaino o la forchettina nella bocca del bambino abbia un’alta probabilità di perdere pezzi durante il tragitto. Con diversi gradi di caduta cibo che passa dall’aereo di guerra, che lascia cadere poche bombe, a un canadair anti-incendio, che abbandona il suo intero carico.

– di ritorno dal parco i vestiti di mia figlia abbiano assunto i colori dell’ambiente circostante: il marrone della terra, il verde dell’erba e qualche schizzo d’acqua della fontanella.

– dopo un pomeriggio a casa la maggioranza dei giochi sia sparsa nelle diverse stanze, come se fossimo rimasti chiusi in casa un’intera settimana.

Rispetto al mio sguardo, ancorché molto attento, mi rendo conto che l’occhio di una mamma riesce a calcolare tutte le possibili conseguenze di qualsiasi azione su mobili, pareti e arredamento in generale.

Potrebbe essere un fatto di apprensione.

Effettivamente quando sto con mia figlia:

– nei giochi insieme tendiamo più al “verticale”, neanche fossimo moderni Messner. Di solito è con me che sfida la gravità arrampicandosi su qualunque cosa, me compreso.

– tendiamo a spostare un po’ più in alto l’asticella della difficoltà delle attività. Come, ad esempio, proporre di togliere le ruotine della bicicletta. Pur sapendo che questo avrebbe voluto dire correre dietro a una bicicletta riprendendola al volo per evitare cadute rovinose.

– se lei non vuole mangiare tutto quello che c’è nel piatto, penso che mangerà di più la prossima volta e non mi viene in mente, come invece succede alla mamma, che possa rimanere disappetente fino alla maggiore età.

– al Luna Park le propongo di provare anche i giochi da più grandi. Dopo aver assistito all’ennesimo lentissimo giro del “bruco-mela”, è un classico che la inviti a fare un giro con me nelle macchinine dell’auto-scontro. Almeno ci divertiamo in due.

Mentre lo sguardo della mamma ipotizza scenari che vanno dal semplice bernoccolo alla necessità del pronto soccorso, il mio tende più a proiettare mia figlia verso chissà quale fantastica impresa futura.

 

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