26 agosto 2025 –
Il time-out è una delle tecniche educative più discusse dagli esperti di infanzia e dai genitori. C’è chi lo considera un metodo efficace per insegnare ai bambini a fermarsi e riflettere sui propri comportamenti, e chi invece teme che possa risultare punitivo, con effetti negativi sulla loro autostima.
Ma cos’è davvero il time-out, e quali sono le alternative per gestire i momenti di crisi?
Che cos’è il Time-out
Tradizionalmente, il time-out consiste nel chiedere al bambino di sedersi in un luogo appartato, lontano dal gruppo o dall’attività in corso, per un tempo breve (in genere pochi minuti). Lo scopo dichiarato è permettere al piccolo di calmarsi, riflettere e comprendere le conseguenze delle proprie azioni.
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Il problema nasce quando questa tecnica viene utilizzata in modo rigido o senza spiegazioni, o addirittura umiliandolo, come nel caso della sedia della riflessione, ancora usata nelle scuole materne.
In quei casi, il bambino rischia di percepirla come una punizione ingiusta, che lo isola e lo fa sentire escluso, senza offrirgli strumenti per capire e migliorare.
Un approccio più sfumato
Alcuni professionisti dell’educazione, tra cui la SuperNanny francese Sylvie Jenaly, propongono una visione meno rigida. Isolare un bambino durante una crisi, per un tempo breve e con la supervisione di un adulto, può infatti avere un senso.
In questo modo il piccolo impara che è legittimo provare rabbia o frustrazione, ma che non può riversarle sugli altri né condizionare la vita familiare. Il messaggio non è di esclusione, ma di rispetto reciproco: le emozioni sono ammesse, ma devono essere espresse in un contesto che non danneggi gli altri.
I pro del Time-out
Se applicato con attenzione, il time-out può diventare un momento utile:
- Aiuta il bambino a fermarsi e ritrovare la calma.
- Offre un’occasione per separare l’emozione dall’azione, distinguendo la rabbia dal comportamento messo in atto.
- Permette ai genitori e agli educatori di gestire meglio la situazione, prendendosi qualche minuto per non reagire in modo impulsivo.
I contro del Time-out
Molti esperti sottolineano anche i possibili rischi:
- Se vissuto come una punizione, può generare senso di rifiuto e vergogna.
- L’isolamento può far sentire il bambino solo proprio nel momento in cui avrebbe più bisogno di sostegno.
- Può interrompere il dialogo e rendere difficile la comprensione reciproca.

Alternative al Time-out
Negli ultimi anni si parla sempre più di strategie alternative, che puntano a rafforzare la relazione adulto-bambino:
- Time-in: invece di lasciare il bambino da solo, il genitore resta accanto a lui, aiutandolo a riconoscere e regolare le proprie emozioni. È un modo per dire: “Capisco che sei arrabbiato, sono qui con te finché non ti sentirai meglio”.
- Pausa del genitore: anche mamma o papà possono scegliere di allontanarsi per qualche minuto, comunicando chiaramente: “Sono agitato, ho bisogno di calmarmi prima di continuare a parlarti”. Questo gesto mostra al bambino un modello concreto di gestione sana della rabbia.
- Spazio delle emozioni: creare in casa un angolo accogliente dove il bambino può andare per ritrovare la serenità, con libri, cuscini o giochi calmanti.
Non demonizzare, ma essere consapevoli
Il time-out non è da demonizzare, ma va utilizzato con consapevolezza e rispetto. Non deve mai diventare una punizione umiliante, bensì un’occasione educativa spiegata al bambino. L’obiettivo non è “spegnere” un comportamento, ma insegnare a gestire le emozioni e a ritrovare il dialogo.
Lo stesso si può dire di quando utilizziamo i dispositivi elettronici per “tenere buoni i bambini”: tablet e smartphone non sono da demonizzare, possono essere ottimi strumenti educativi, ma non dovrebbero mai diventare uno strumento per disinnescare le crisi emotive o i capricci dei bambini.
Ogni famiglia può trovare la strategia più adatta, ricordando che la chiave dell’educazione resta sempre l’ascolto, la coerenza e la connessione emotiva con i propri figli.




