‘A 9 anni hanno fondato un club del sesso’: l’allarme lanciato da Alberto Pellai

3 novembre 2025 –

Una notizia inquietante ha recentemente acceso i riflettori su un tema che non possiamo più ignorare: bambini di appena 9 anni che hanno creato un “club del sesso”, condividendo tra coetanei contenuti pornografici trovati online.
Un episodio che, purtroppo, non è isolato — ma è il sintomo di un problema profondo che riguarda tutti noi: genitori, educatori e società intera.

Una lettera che diventa un campanello d’allarme

L’episodio che ha sollevato tanto clamore è arrivato fino ad Alberto Pellai tramite una lettera di una docente, che gli ha chiesto un confronto professionale.
L’insegnante, visibilmente turbata, raccontava di aver scoperto che nella sua scuola alcuni bambini di nove anni avevano creato un gruppo in cui circolavano video pornografici. Una madre, insospettita dal comportamento di forte disagio della figlia, aveva scoperto tutto e denunciato la situazione.
L’insegnante, abituata a trattare temi di educazione affettiva con ragazzi più grandi, ha confidato però a Pellai di sentirsi impreparata davanti a una realtà così precoce, chiedendogli un confronto professionale.

È per questo che Alberto Pellai ha scelto di condividere pubblicamente la testimonianza, per invitare genitori e insegnanti a riflettere sui rischi legati all’uso precoce e non controllato dei dispositivi digitali.

L’infanzia digitale è senza filtri

Oggi i nostri figli crescono in un mondo dove la tecnologia è parte integrante della vita quotidiana. Smartphone, tablet, piattaforme video e social sono strumenti potentissimi, ma anche pericolosi se lasciati senza guida.
Molti bambini entrano in contatto con immagini e video sessualmente espliciti ben prima dell’adolescenza. E questo non per una curiosità “normale”, ma perché il web, con la sua logica algoritmica, spinge contenuti sempre più estremi, senza che il cervello infantile sia pronto a elaborarli.

La mente di un bambino non possiede ancora gli strumenti cognitivi ed emotivi per distinguere tra realtà, finzione, desiderio, consenso. Guardare certe immagini non significa “esplorare la sessualità”, ma subirla passivamente, spesso in modo traumatico.

Molti genitori pensano che “tanto lo smartphone lo sanno usare meglio di noi”. Sarà forse vero dal punto di vista tecnico, ma non da quello emotivo.
Uno schermo in mano a un bambino è come una macchina da corsa nelle mani di chi non ha mai guidato: può fare danni enormi.
Eppure, per abitudine o stanchezza, si cede troppo presto all’idea che un telefono “non faccia male”, che “tanto sanno cosa non devono guardare”.
Ma il punto è proprio questo: non lo sanno. Non ancora.

Quando la pornografia sostituisce l’educazione

Il problema non è solo ciò che i bambini vedono, ma ciò che non vedono.
L’assenza di un’educazione affettiva e sessuale adeguata — quella che parla di rispetto, emozioni, consenso e corpo — lascia un vuoto che viene colmato da internet.

E così, l’amore diventa “performance”, l’intimità si riduce a un atto meccanico e la curiosità naturale si trasforma in confusione, disgusto o eccitazione precoce, senza la capacità di interpretarla.

Alberto Pellai ha più volte ribadito l’importanza dell’educazione sessuale nelle scuole: “È fondamentale promuovere competenze emotive, educazione affettiva, sentimentale e sessuale, questo è il prerequisito per costruire relazioni di coppia sane, libere dalla violenza”. 

Serve un cambio di rotta

Non possiamo più pensare che basti “educare al buon uso del telefono”. Serve molto di più:

  • Presenza, prima di tutto. Sapere cosa fanno online, con chi parlano, cosa vedono.
  • Dialogo, anche quando è scomodo. Spiegare che ciò che trovano sul web non è amore, né realtà.
  • Limiti chiari, perché proteggere non significa controllare, ma accompagnare.
  • Collaborazione tra scuola e famiglia, per promuovere percorsi di educazione affettiva e digitale fin dalla primaria.

Ricostruire il senso dell’amore e del rispetto

Un bambino che guarda un video pornografico non sta “scoprendo il sesso”: sta imparando, senza volerlo, che il corpo è merce e che la relazione è dominio.
Raccontargli l’amore, invece, significa restituirgli la dimensione autentica dell’incontro con l’altro: quella fatta di rispetto, fiducia e curiosità sana.

Per questo è importante riprendere la discussione su quanto sia importante l’educazione sessuale e affettiva nelle scuole. Lo ha detto persino Rocco Siffredi, che sa bene di cosa parla, quando afferma che abbiamo “lasciato che i siti porno facessero da educatori’.

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Riportare i figli nel mondo”

Nel suo lavoro, Pellai invita genitori e insegnanti a riportare i bambini nel mondo reale, lontano dalla dipendenza dallo schermo e dall’eccesso di stimoli digitali.
La sua riflessione è semplice ma potente: non basta insegnare a usare bene il telefono, serve esserci, condividere momenti, ascoltare, osservare.
La tecnologia, senza guida, diventa un surrogato di attenzione e una scorciatoia dalla noia.
La presenza adulta, invece, resta la più grande forma di protezione.

Il “club del sesso” non è solo un fatto di cronaca: è un segnale di allarme collettivo.
Ci ricorda che l’educazione digitale e quella emotiva non possono più viaggiare su binari separati.
E che la responsabilità di preservare l’infanzia passa anche da gesti quotidiani: controllare, spiegare, parlare, ascoltare.
Solo così possiamo restituire ai nostri figli il diritto di crescere con lentezza, curiosità e sicurezza.

5 azioni concrete per i genitori

1. Rimandare l’acquisto dello smartphone.
Non esiste un’età “giusta” per avere un telefono personale, ma prima dei 12 anni è meglio limitarne l’uso e privilegiare dispositivi condivisi e controllati.

2. Parlare apertamente del corpo e delle emozioni.
Non serve usare termini complicati: basta offrire ai bambini parole semplici per nominare ciò che provano, spiegando la differenza tra curiosità e invadenza.

3. Attivare filtri e parental control.
Strumenti come Family Link o Apple Screen Time aiutano a bloccare siti inappropriati e a monitorare il tempo trascorso online.

4. Costruire fiducia, non paura.
Invece di punire o spaventare, incoraggiate il dialogo: se un bambino sa che può parlarvi di ciò che ha visto, sarà più facile interven

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