Deficit uditivi nei bambini: cosa fare?

Il 3 marzo si celebra la Giornata Mondiale della Sordità, ma di questa patologia si parla ancora molto poco. Grazie all’incontro organizzato da MED-EL Italia abbiamo potuto imparare tantissime cose in merito ma, soprattutto, abbiamo imparato che, grazie alla tecnologia degli impianti cocleari e soluzioni a conduzione ossea, i bambini con deficit uditivi possono condurre una vita assolutamente uguale a quella dei loro coetanei normoudenti.

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Spesso ci sono cose che diamo per scontato, come ad esempio sentire. 

A meno che non ci siano state avvisaglie già durante la gravidanza, nessuna di noi si aspetta che il proprio bimbo possa avere dei problemi di udito.

E invece, oggi, 1 bambino su 1000 nasce con un difetto uditivo: che sia lieve, moderato o grave, non importa. Ogni difetto uditivo va ad incidere, giorno dopo giorno, sulle capacità di apprendimento del nostro bambino.

Buona parte dell’apprendimento, infatti, si basa sull’udito: un bambino che non sente i suoni, le voci, i rumori, non sarà in grado di assimilare le informazioni che il mondo gli invia, farle proprie e trasformarle in azioni e, soprattutto, parole.

L’apprendimento del linguaggio, infatti, è un processo complesso che si attiva fin dalla nascita e mette insieme diverse abilità: un bambino che non sente non è solo un bambino che non riesce a parlare, ma anche un bambino che non riesce ad apprendere e questo porta a un ritardo anche a livello cognitivo e motorio.

È come se un ingranaggio si bloccasse, portando ripercussioni su tutta la vita del bambino perché, purtroppo, non è più possibile, dopo un certo periodo, recuperare ciò che si è perso.

Per questo motivo, la diagnosi deve essere il più precoce possibile: se viene avviato un buon percorso terapeutico-riabilitativo entro il primo anno di vita del bambino, questo non avrà ripercussioni sul suo sviluppo fisico e neurologico.

Le principali cause di sordità

La sordità nei neonati ha tre principali cause:

  • Genetiche: la causa va ricercata in due geni specifici, recessivi, presenti sia nella mamma che nel papà e sono la connexina 26 e la connexina 30;
  • Prenatali: sono dovute a delle infezioni contratte dalla mamma durante la gravidanza e riguardano solitamente il gruppo di eventi infettivi conosciuti come TORCH (Toxoplasmosi, Rosolia, Citomegalovirus, Herpes virus);
  • Perinatali: dovute a gravi sofferenze fetali durante il travaglio, con prolungati periodi di ipossia, o l’ittero;
  • Postnatali: in questo caso sono prevalentemente dovute a cause infettive (le forme più frequenti sono dovute alla meningoencefalite, alla parotite e al morbillo), traumatiche (generalmente in seguito ad un trauma cranico) o tossiche (generalmente dovute a reazioni avverse in seguito alla somministrazione di alcuni farmaci che hanno tra gli effetti collaterali l’ototossicità).

I controlli iniziano dalla nascita

In buona parte degli ospedali italiani (ma purtroppo non in tutti) oggi si fa lo screening universale audiologico (otoemissioni) in seconda giornata per identificare eventuali deficit uditivi.

L’esame delle otoemissioni viene effettuato introducendo una piccola sonda nell’orecchio, dotata di un registratore che emette uno stimolo sonoro e di un microfono che registra i movimenti delle cellule ciliate presenti nel canale uditivo in seguito al clic percepito. L’esame è veloce, assolutamente non doloroso e viene eseguito, solitamente, mentre il bambino dorme.

Se il bambino non supera le otoemissioni viene inviato dal neonatologo (o dal suo pediatra) presso un centro di III° livello per eseguire una valutazione più accurata del suo udito attraverso un esame che si chiama AABR (Automated Auditory Brainsteam Response), ovvero l’esame dei potenziali evocati acustici automatici. Anche questo esame fa parte dello screening di I° livello: nel caso in cui il test non sia superato, non significa per forza una diagnosi di sordità.

Per questo il bambino viene inviato in centri specializzati dove vengono fatti esami più specifici quali:

  • le otoemissioni (che si differenziano da quelli già effettuate per la durata dell’esame e per il personale specializzato che si occupa di studiarne i risultati);
  • l’ABR (Auditory Brainsteam Response): è un esame più specifico che registra l’attività elettrica del tronco cerebrale in risposta a stimoli acustici. L’esame viene eseguito quando il bambino dorme: gli vengono applicati degli elettrodi sulla fronte e sul cuoio capelluto e viene inserita una sonda nell’orecchio collegata al computer che, inviando stimoli acustici, permette di valutare la risposta della via acustica del bambino;
  • i potenziali acustici corticali: rilevano l’attività elettrica della corteccia cerebrale e delle aree primarie e secondarie della corteccia uditiva, in seguito allo stimolo sonoro.

Solo dopo avere eseguito tutti questi esami è possibile arrivare ad una diagnosi e quindi intraprendere il percorso terapeutico – riabilitativo più idoneo per il bambino.

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Come si può riconoscere un problema udito nei bambini più grandicelli?

Ovviamente, quando si ha a che fare con bambini, non è sempre facile comprendere le loro difficoltà nell’udire, soprattutto se sono di lieve entità.

I campanelli che ci devono mettere in allarme sono i seguenti:

  • il bambino fa fatica a seguire una conversazione tra due persone o più;
  • quando ci si rivolge a lui o viene chiamato, il bambino risponde a volte immediatamente, a volte no;
  • il bambino spesso risponde con frasi quali “come?”, “scusa?” o ancora “cosa hai detto?”;
  • il bambino ha difficoltà a comprendere le frasi in ambienti particolarmente rumorosi (cortile della scuola, eventi sportivi, feste di compleanno);
  • lo sviluppo linguistico del bambino presenta dei ritardi in confronto a quello dei suoi coetanei;
  • il modo del bambino di articolare le parole risulta di difficile comprensione;
  • c’è un costante peggioramento del rendimento scolastico e l’apprendimento di una lingua straniera risulta particolarmente arduo;
  • il bambino tende a isolarsi sempre di più e a chiudersi nel suo mondo;
  • il bambino fa fatica a rilevare le alte frequenze, come ad esempio voci acute degli altri bambini o il anche verso degli uccelli. Le voci in questi casi vengono recepite come mute;
  • quando guarda la tv o ascolta la radio il bambino tende ad alzare al massimo il volume per poter capire;
  • il bambino rileva una sorta di ronzio costante, come se ci sentisse una sorta di trillo all’interno dell’orecchio.

Quali sono le possibili soluzioni?

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Nella foto Sergio Panizza, Direttore MED-EL Italia

A seconda del tipo di disabilità uditiva, possono essere utilizzate diverse soluzioni, impiantabili e non impiantabili:

  • un impianto cocleare sostituisce le cellule ciliate danneggiate o inesistenti all’interno della coclea. Si tratta di un impianto interno e di un componente esterno (processore audio), in grado di raccogliere le onde sonore nelle vicinanze e trasmetterle all’impianto, che a sua volta trasferisce questi segnali attraverso il nervo acustico direttamente al cervello, dove vengono percepiti come suoni;
  • una soluzione a conduzione ossea, come ad esempio ADHEAR, una soluzione innovativa proposta da MED-EL, che non richiede interventi chirurgici e che viene scelto laddove il suono non può utilizzare il passaggio naturale che collega l’orecchio esterno e medio all’orecchio interno. Il dispositivo è dotato di un solo componente esterno e, in questo caso, lo stimolo uditivo viene trasmesso attraverso conduzione ossea all’orecchio interno, dove viene trasformato in suono. Questo dispositivo può essere utilizzato sia sui bambini che sugli adulti.

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Rispetto ai coetanei, un bambino portatore di impianto acustico è generalmente più sensibile e necessita di tempi di apprendimento più lunghi e di una maggiore attenzione per riuscire ad apprendere ma, a differenza del passato, può condurre una vita assolutamente uguale a quella dei suoi coetanei normoudenti!

Post in collaborazione con MED-EL Italia

 

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