“Se non sei madre non puoi capire”: non è vero!

“Se non sei madre non puoi capire”. Pensare a come possa essere il legame tra una madre e un figlio è un conto, viverlo in prima persona è un altro.

In buona sostanza questo è l’assunto da cui si parte con questa riflessione. Ma davvero è così? Questa è una frase che fin troppo spesso le donne che non hanno figli si sentono ripetere spesso e volentieri da sorelle, amiche, parenti che invece di figli ne hanno magari anche due o tre.

Dove sta la verità?

Forse è vero che per comprendere a 360 gradi il legame madre-figlio bisogna viverlo e respirarlo, perché in effetti quando diventi madre ti cambia la vita. Cambiano le prospettive, le priorità, cambia il corpo e la percezione del mondo sensibile, questo è vero.

Tuttavia non si può pronunciare questa frase alla stessa stregua di “non hai mai avuto un mal di denti non sai cosa sia questo dolore”, perché dietro al non avere avuto figli c’è tutto un mondo. Per prima cosa non sempre si ha la certezza di sapere perché una donna non abbia avuto. Non li ha voluti? Non ha potuto averli? È stata una scelta sofferta, pure fatta a ragion veduta senza pentimento? Ci ha provato per anni e non è riuscita a rimanere incinta? Sono tante le sfumature, troppe, e si rischia davvero di andare a graffiare, seppur involontariamente, l’animo e la sfera del sensibile più viva.

E che dire di quelle meravigliose zie che tirano su i nipoti come se fossero figli loro, accudendoli e amandoli giorno dopo giorno, con la stessa tenerezza di una madre, si può dire loro che “tu non puoi capire perché non hai figli”? O a quelle maestre che svolgono a scuola, tante volte, il ruolo che spetterebbe a certe madri, asciugando lacrime, pulendo nasini raffreddati e cambiando pannolini.

Si può dire a quel tipo di donna che “non può capire” perché magari non sei madre

E allora forse non è questa una frase un po’ troppo discriminante e ingiusta? Una donna può capire, se è in grado di sintonizzarsi sulle frequenze dell’animo dei bambini, può capire pur non avendo vissuto sulla sua palle la maternità.

E allora basta con quest’antipatica sequenza di parole che sono un giudizio senza appello, perché non sempre sappiamo se quella donna che non ha passato notti insonni per le coliche del figlio lo ha fatto con la speranza che un embrione attecchisse nella sua pancia, o se ha provato la gioia di sentire un bambino dentro di sé, ma non quella di stringerlo tra le sue braccia.

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