Sembra un’equazione matematica. Quando i bambini iniziano la Scuola dell’Infanzia (dai 3 anni) i genitori si trovano a fare i conti con le tanto odiate parolacce.
Sì perché i bimbi, che entrano in contatto (spesso per la prima volta) con altri coetanei o bambini più grandi, in assenza dei genitori o dei nonni, sperimentano la loro prima forma di vita sociale. E questo comporta pro e contro.
Va subito precisato che a 3-4 anni i bambini ripetono parole che sentono, ma che per loro non hanno alcun significato. Quando dalla loro boccuccia esce una parolaccia, non sanno certo ciò che stanno dicendo. Ma le reazioni di mamma e papà fanno capire loro che quelle che vengono chiamate “parolacce” non sono termini come gli altri. E a questo punto, l’atteggiamento dei genitori ha un ruolo chiave nell’evoluzione del comportamento del piccino.
Se le reazioni di fronte alla parolaccia sono troppo violente, il bimbo confinerà quella parola nell’universo del “vietato” e potrà essere usata addirittura per sfidare il mondo dei “grandi”. Se, al contrario, non viene dato alcun peso alla parolaccia, il bambino potrà sentirsi autorizzato a usare quel tipo di linguaggio, anche all’interno del gruppo, con conseguenze potenzialmente pericolose. Bisogna, quindi, mettere in chiaro che i genitori disapprovano il linguaggio volgare, evitando però reazioni eccessive, che danno troppo peso alla parolaccia in sé.
Per prima cosa, come regola generale di coerenza, i genitori dovrebbero dare il buon esempio. Se in casa sono loro i primi a usare il un linguaggio volgare, come si può pretendere che i bambini non lo facciano? Inoltre, ogni volta che il bambino dice una parolaccia, è importante far capire loro l’effetto che essa produce, spiegandone il significato e sottolineando come parlare in quel modo non sia sinonimo di forza, ma al contrario, di debolezza con cui si può urtare la sensibilità delle persone. Lodare modelli di comportamento positivo può essere un valido aiuto per offrire esempi concreti in cui il bambino si può immedesimare.
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