Che cos’è la disforia di genere: tre storie di bambini transgender

Bambini che in età precocissima dichiarano di non sentirsi appartenere al sesso con cui sono nati: la disforia di genere è un fenomeno molto diffuso e che va compreso profondamente per salvaguardare l’equilibrio psicologico di chi lo manifesta.

Disforia di genere, che cos’è?

Fino a qualche tempo fa considerato un disturbo della sessualità, ad oggi è fortunatamente contemplato da medici e psicologi come una condizione che può far parte dell’evoluzione di un bambino o una bambina, e la cui diagnosi effettuata in tempo può aiutare tutto il nucleo familiare ad accettarla con serenità.

I segnali tra l’altro vengono esplicati molto presto: il bambino o la bambina già verso i 3-4 anni comunica ai genitori di non sentirsi a proprio agio con il corpo che ha e vuole vestirsi con abiti concepiti per il sesso opposto al suo, chiamarsi con un nome destinato al sesso opposto al suo e rifiuta di adeguare la sua vita pratico/emotiva al sesso di appartenenza.

La disforia di genere non va confusa con l’orientamento sessuale: questo infatti si presenta in futuro e con molte varianti: i bimbi transgender possono diventare bisessuali, omosessuali o rimanere etero, ed in ogni caso lo sviluppo dell’identità muta con la crescita.

L’importanza della comprensione e accettazione

I genitori che si trovano di fronte a questa situazione possono sentirsi confusi e incerti sul da farsi.

Naturalmente per confermare l’eventuale disforia di genere è necessario affidarsi a specialisti, consultare uno psicologo e iniziare un percorso che dia beneficio in primis al bambino o alla bambina, che possono manifestare segni di disagio anche gravi qualora la loro condizione non venga compresa, e soprattutto accettata e rispettata.

Fondamentale è assecondare e donare amore incondizionato, accompagnando il proprio figlio o figlia in questo difficile percorso.

Tre storie di bambini transgender

Negli ultimi anni il velo di paura e di non conoscenza sulla disforia di genere sta fortunatamente calando, e sempre più persone donano la loro testimonianza affinché sia utile a chi vive questo tipo di situazione. Anche personaggi noti (come ad esempio Angelina Jolie) hanno reso pubbliche le loro storie, per aiutare ad affrontare con serenità questo processo di crescita così delicato.

A Ravenna una ragazza di 13 anni ha trovato l’appoggio dei suoi genitori da quando due anni prima aveva fatto “coming-out“. Ufficialmente nata come maschio, ha avuto non pochi problemi a scuola e nel rapporto coi compagni. Grazie al sostegno della famiglia ha ottenuto dal Tribunale di poter cambiare il nome all’anagrafe e vivere come una ragazza. Per la trasformazione fisica con intervento chirurgico dovrà però attendere la maggiore età.

In Australia, una ragazza nata come Olivia, ad 11 anni ha dichiarato che non si sente di appartenere né ad un sesso né ad un altro. “Sono non binario, il che significa che non ho genere. Sono solo io“, ha dichiarato pubblicamente. I sui genitori sono dalla sua parte anche se ha scatenato qualche polemica la scelta della famiglia di sottoporre la ragazza ad una cura farmacologica per il blocco della pubertà.

L’ultimo storia arriva invece dagli States, dove una coppia ha deciso, 17 anni dopo la festa in cui hanno annunciato a parenti e amici il sesso del bebè che stavano aspettando, di organizzare una nuova festa, un transgender party: “Io e il mio partner 17 anni fa ci siamo sbagliati nell’annunciare che avremmo avuto una bambina”. Anche Gray – questo il nuovo nome che ha scelto una ragazza nell’Ohio – non sente di appartenere a nessun genere. La famiglia la sta sostenendo nel suo percorso, con amore e accettazione, dichiarando pubblicamente: “Non importa quanto possa essere spaventoso o scoraggiante, dobbiamo accettarlo“.

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