Fra farli camminare come bambini e farli correre come adulti, il passo è breve

Mamma, mi iscrivi al corso di disegno? Mamma, vorrei avere più tempo per stare a casa a giocare. Mamma, dopo la scuola andiamo al parco, che ho voglia di stare con i mie amici? Mamma, anche io vorrei andare a lezione di pattinaggio. Mamma, oggi sono stanca.

Quante volte, i nostri figli e le nostre figlie sembrano non capire cosa vogliano, titubanti fra buttarsi a fare mille cose, imparare, stare in mezzo agli altri, vivere nuove esperienze e quella di fare ed essere bambini. Dove, nel fare i bambini, intendo quella necessità vitale di attraversare l’infanzia con la dolce lentezza che la contraddistingue, o che la dovrebbe contraddistinguere, a secondo dei punti di vista.

Tra starsene a casa, leggere un libro o farselo leggere, un po’ sbracati sul divano, e poi cambiare idea e cominciare a costruire una barca con i lego, giocare ad essere un astronauta che prende il tè con l’amico peluche, per poi farsi fare due coccole davanti alla tv.

È difficile per noi genitori tracciare quella linea di demarcazione fra tutto quello che a livello performativo potrebbe fare la differenza in un secondo momento, facendoli sfrecciare già dal principio fra un corso ed un altro, oppure concedergli di vivere giorno per giorno la loro infanzia, il più possibile.

Difficile scegliere, capire cosa sia meglio per loro, anche perché l’ infanzia è piena di stimoli messi in piedi ad hoc, e gli stessi bambini ne sentono il richiamo come sirene. Difficile capire cosa scegliere, cosa sia meglio per loro, in quanto ogni esperienza è sia fonte di gioia che capace di dissetare la loro naturale sete per il sapere.

Il corso di nuoto, quello di circo, quello di musical, la scuola di francese, quella di violino, quella di canto, le lezioni di pattinaggio sul ghiaccio, la ginnastica artistica, il calcio, il corso di sci nel week end. Ma i giorni della settimana sono sette anche per loro, della ventiseiesima ora non c’è traccia manco per i bambini che a scuola devono pure andare.

Molti bambini e bambine, poi, escono alle otte del mattino e tirano sino alle quattro del pomeriggio, con la scuola dell’obbligo. Tra banchi ed il cortile della scuola, la loro giornata è già piena di cose, di bimbi, di esperienze.

Fare i bambini cosa vuol dire in fondo?

Vivere la propria fase, troppo breve rispetto alle altre tappe che attendono dietro la porta. Essere e fare i bambini non vuol forse dire giocare, imparare, rilassarsi, cambiare idea? Oppure sfrecciare per far presto ad imparare questo e a fare quell’altro? Del resto, è quando si è bambini che le cose si apprendono con il minino sforzo e la massima resa.

La scuola primaria di mia figlia termina alle 16.30, e quando la vado a prendere è ancora molto carica. Che ci sia il caldo sole della primavera od il buio dell’inverno ad attenderla, spesso è indecisa se andare al parco, andare a casa di un’amica, fare la lezione di prova di quello e di quell’altro. O tornarsene a casa con la sorella, per fare merenda e giocarci insieme.

I corsi settimanali non mancano ed alcuni li frequentiamo per colmare quello che la scuola pubblica, spiace dirlo, è manchevole imperdonabilmente. Mettiamo sù tasselli di puzzle che non sono opzionali, non saranno discriminanti per il successo accademico futuro, ma rappresentano il minimo indispensabile per non fare troppa fatica nella scuola di domani.

Eppure, se è lei stessa che mi chiede di fare altre esperienze infrasettimanali, nel contempo mi ha confessato più volte di essere stanca, di voler fare le cose con maggiore calma, di volere più tempo per giocare a casa, dopo la scuola.

È fra le tante sfide con le quali dobbiamo prendere confidenza al più presto e capire da che parte stare. Decidere cosa sia meglio per loro. Perché non è una sciocchezza decidere fra farli camminare come bambini o farli correre come adulti, e quel ritmo al quale li abiteremo sarà lo stesso con il quale affronteranno il loro prossimo futuro. E tonare sui propri passi non sarà possibile per nessuno.

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