Il calvario dell’aborto terapeutico: la testimonianza di una mamma

Roma: scopre di portare in grembo un bimbo un feto malato, ma il diritto all’aborto si trasforma in calvario.

Questa è la storia raccontata in prima persona da una donna che si rivolge alle donne, e che parla di uno dei diritti fondamentali della donna, trasformato in un incubo. È accaduto quando questa donna, di cui non si fa il nome, ha deciso di abortire perché il suo bambino presentava gravi malformazioni. Visite psichiatriche, silenzi, dolore, disapprovazione, tutto in nome di un diritto che lascia l’amaro in bocca.

La scoperta e la decisione di abortire: il momento più terribile

La donna che ha raccontato la sua storia alle pagine dell”Espresso’ ha voluto mantenere l’anonimato, ma potrebbe essere una chiunque di noi. Una mamma, una zia, una sorella. Una donna che al sesto mese di gravidanza scopre di portare in grembo un feto che, dicono i medici, “è incompatibile con la vita”.
Come si fa in quei casi, cosa si pensa? È sempre lei a rispondere: si fa quello che è giusto per quell’esserino, che non ha speranze. “Non avrei messo al mondo un bambino per farlo soffrire’“, racconta. Ma quello che doveva essere, e deve essere, un diritto, l’aborto terapeutico, diventa presto un calvario.

Tra medici obiettori e psichiatri la donna subisce un altro dolore

La legge 194 prevede che una donna che intenda abortire in senso terapeutico può farlo solo se la sua salute fisica o mentale è a rischio. Nonostante il motivo fosse la grave malformazione cardiaca del feto, è stata la mamma ad essere analizzata, scrutata, interrogata : “L’incontro con lo psichiatra. Un incontro freddo, una pratica da sbrigare senza empatia»
Poi il ricovero, dove ha dovuto aspettare giorni perché i medici obiettori non erano reperibili, tutti la guardavano con disapprovazione, ma nessuno era in grado di capire il suo dolore, di mostrare umanità. Sentirsi dire frasi come “Io ne conosco di persone nate con un ventricolo solo, e stanno benissimo».

Spesso sono mamme che hanno cercato il loro bimbo, magari anche per anni. Mamme messe in stanza con altre mamme che hanno appena accolto la vita. Mamme che non possono ricevere la terapia antidolorifica perché anche di anestesisti non obiettori di coscienza ce ne sono pochi : a Roma ce ne sono solo 5.

Il suo è un racconto frutto di un’esperienza personale e drammatica, ma che deve essere raccontato e deve far riflettere su come viene fatto rispettare un diritto della donna sancito dalla legge. Già, come ?
Non è una mamma incosciente, è una donna distrutta che ha deciso di non mettere al mondo il suo bambino e che non ritiene giusto essere etichettata come un mostro.

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