Il dramma di Rebibbia e degli altri bimbi reclusi con le mamme

La notizia della mamma che ha ucciso i propri figli scaraventandoli dalle scale nel carcere romano di Rebibbia porta alla luce un dramma ben più profondo e radicato: quello dei piccoli “reclusi” senza colpa, ovvero tutti i bambini figli delle detenute, costretti a un’infanzia dietro le sbarre.

Quale futuro per questi bambini reclusi ?

Nelle carceri i bambini possono stare con le loro madri fino ai 3 anni di età. Qui però non hanno una vita normale, non esistono parchi dove correre, né disegni colorati. Gli spazi sono angusti e le distanze gli uni dagli altri minime. In questo contesto i piccoli hanno accanto solo le mamme, ma che destino hanno una volta compiuti tre anni? La loro vita si pone di fronte a un bivio: possono finire in custodia con dei parenti oppure finire in istituti e in affido. In ogni caso il trauma subito è enorme, dal momento che vengono separati forzatamente dalla loro madre, l’unica persona che abbiano mai visto in 3 anni.

Il disagio profondo delle donne con figli in carcere

Non si può sapere, e non è questa la sede per stabilirlo, cosa possa essere successo nella mente della donna di Rebibbia per arrivare a compiere un gesto così estremo. Nel carcere romano però esiste un disagio più grande, chiamato “sezione nido”. Qui è dove i bambini vivono sulla propria pelle i problemi legati alla reclusione. Non è il momento di pensare soltanto al colpevole ma occorre andare oltre la semplice colpa. Bisogna anche interrogarsi sul taglio dei fondi destinati a tutte le attività per i bambini in carcere. Questo tragico gesto rappresenta una sconfitta per tutti quanti, soprattutto per un sistema carcerario incapace di captare probabili segnali di disagio psichico e di garantire sicurezza a bambini indifesi.

Le soluzioni alternative al nido in carcere

Un’alternativa al sistema carcerario potrebbe essere l'”ICAM”, ovvero “Istituto per la Custodia Attenuata alle Madri detenute“. Si tratta di una struttura che opera sullo stampo della casa-famiglia ed è già stata provata e sperimentata nelle città di Venezia e Milano. La diffusione di questi istituti potrebbe essere un buon inizio per poter affrontare un dramma spesso taciuto e agevolare la maternità carceraria tutelando soprattutto i piccoli, reclusi senza alcuna colpa.

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