La sofferenza muta di chi perde un bambino

Le ho telefonato come spesso accade, così per parlare di frivolezze, dirle se ci vedevamo per un caffè e che avevo trovato il maglione che volevo. “Scusa ora non posso rispondere, sono a letto con dolori fortissimi. Questa mattina mi hanno indotto l’aborto, è già la seconda volta. Sono distrutta e non mi sento bene”.

Silenzio, momento di vuoto, vertigini. Aborto? Ma da quanto eri incinta? Come è possibile? Avevo capito che avevano problemi ad avere un bambino… ma non sapevo che fosse già la seconda gravidanza non andata a buon fine.

Così, mentre tenevo in mano una borsa con uno stupido maglione, nel bel mezzo di un marciapiede illuminato da una vetrina ho capito che non avevo capito nulla.

Proprio io? Che avevo trascorso anni nella ricerca disperata di una gravidanza… ero lontana anni luce da quella sofferenza così vicina e così familiare. Ne abbiamo poi parlato il giorno dopo, inizialmente nessuna di noi due sapeva come affrontare il discorso, abbiamo provato entrambe a circumnavigarlo. Poi lo abbiamo guardato negli occhi e lei ha attaccato così: “la dottoressa dice che fino a 3 aborti possono capitare, speravo che sentissero il battito il giorno dell’aborto indotto, invece niente…”

Il battito… già doveva averne uno, e un cuore quindi. Alla fine era una vita, seppur embrionale. Mentre parla a me viene da pensare come sarebbe stato, se avrebbe avuto gli occhi di lei e la pigrizia di lui. Maschio o femmina? Bhe… lui avrebbe preferito una femmina scommetto. Se faccio io questi pensieri, chissà a lei cosa passerà per la mente, quale frullatore di emozioni deve essere stato.

“Non lo sa nessuno, solo io e lui. Vorrei parlarne, ma nessuno capisce…” Eh si me le vedo già le amiche che vantano di essere rimaste incinta al primo tentativo, tipo tirassegno, cosa possono capire? Quelli che ti dicono “sono cose che capitano, sei giovane, succederà”, oppure “non era destino, ci riproverai”, come puoi dirgli che ti eri già immaginata che avesse i tuoi occhi e la sua pigrizia? Come fai a spiegargli che anche se era lungo pochi centimetri e lo conoscevi da poche settimane, lo amavi già infinitamente? Ti farebbero sentire un’ingenua… “Bhe i primi 3 mesi sono cose possono succedere”. E quindi? Cosa vuol dire… che dovevo aspettarmelo e non farmi coinvolgere emotivamente?

Nessuno vuole capire e nemmeno ascoltare queste storie, a volte nemmeno le persone più vicine o quelle coinvolte. Sono urla mute a cui si cerca in tutti i modo di dare un argine forse per minimizzare il cinismo severo della natura (che in fondo spaventa tutti).

Ma perché ci ostiniamo a consolare a rattoppare, contenere? Perché non si può accettare che ci sia un tempo per essere giustamente incazzate, avvilite, frustrate, tristi e preoccupate.

Ti senti così? E’ giusto, è legittimo, hai appena perso un bambino. Passerà? Sì, ma ora prenditi il tuo tempo per soffrire. Non va di moda lo riconosco, ma è necessario. Non farlo significherebbe saltare una tappa, perdere un pezzo di sé e lasciare un groviglio sospeso che diventerebbe sempre più ingombrante.

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