‘Mudita’, ovvero la ricetta della felicità

Chi non vorrebbe essere felice per tutta la vita? Ma cos’è davvero la felicità? Secondo il buddismo, la risposta è: mudita. Con questa parola di origine sanscrita, che è una delle quattro principali virtù del buddismo, si intende la gioia disinteressata per il successo di qualcun altro. Principio ineccepibile, ma in realtà non così facile da provare…

A bene vedere, infatti, il concetto di felicità si baserebbe più di quanto pensiamo sul confronto con gli altri. Essere felici spesso significa esserlo più degli altri, tanto che il sarcastico Gore Vidal, scrittore e drammaturgo statunitense affermava: “Non basta che le cose ci vadano bene, devono andare male agli altri”. Ecco allora che un piccolo aumento di stipendio solo per noi può renderci più felici di uno più alto che però hanno ottenuto anche i nostri colleghi. Proprio perché abbiamo ottenuto una cosa che gli altri non hanno avuto.

A ben vedere, quindi, il concetto di mudita, è più difficile da applicare di quanto sembri. Ma, per essere davvero felici, dovremmo cercare di metterla in pratica, gioendo in maniera disinteressata delle fortune altrui. Come dice il Dalai Lama, infatti, “se diventiamo capaci di provare piacere per le gioie di sette miliardi di persone piuttosto che di una sola, abbiamo molte più possibilità di essere felici”.

Al livello psicologico, la verità che si nasconde dietro la mudita è che non c’è una quantità limitata di felicità. Cioè, se qualcun altro è felice non significa che ne rimane di meno per noi stessi. Dipende tutto dallo “strumento” che scegliamo per raggiungerla. Più esso è materiale e “relativo”, più il nostro desiderio di felicità avrà un “esaurimento scorte”. A esempio, se la nostra idea di felicità consiste nell’occupare l’ufficio più bello, nel momento in cui lo assegnano a qualcun altro abbiamo perso.

Probabilmente una vita interamente basata sulla mudita è un ideale irraggiungibile, ma il concetto serve a ricordarci che la felicità non deve essere vista in maniera egoistica. Possiamo godere anche di quella degli altri. O almeno, provarci, modificando il nostro punto di vista nei confronti del mondo.

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