Parto indotto: quando è necessario?

Quando non parte spontaneamente, o in casi clinici particolari, il travaglio può essere indotto attraverso farmaci o opportuna stimolazione manuale o artificiale.

Non esiste, quindi, un metodo univoco per indurre il parto e la scelta di quale utilizzare dipende sia dalla storia della gravidanza che dallo stato di maturazione dell’utero al momento dell’eventuale induzione.

È bene sottolineare che il parto indotto può comportare dei rischi ed è quindi essenziale comprendere bene in quali casi diventa necessario ricorrervi ed essere consapevoli dei pro e dei contro che caratterizzano ogni metodo.

Quando è necessario indurre il parto

Il ricorso all’induzione del travaglio è possibile solo quando attendere il termine naturale della gravidanza potrebbe far correre, alla futura mamma e/o al suo bambino, dei rischi.

Diventa necessario indurre il parto quando si rischiano di superare i termini della gravidanza (42 settimane), soprattutto per evitare il cesareo.

Il parto viene, inoltre, indotto anche nel caso in cui vi è la rottura delle acque ma il travaglio non parte. Generalmente, in una simile situazione i medici attendono 24-48 ore, dopodiché procedono con l’induzione per evitare l’insorgere di un’infezione.

Esistono altre situazioni che possono portare i medici ad optare per l’induzione del travaglio, ma si tratta solitamente di casi specifici, da valutare di volta in volta, e generalmente correlati a patologie della gravidanza.

Può succedere, inoltre, che l’induzione non sortisca l’effetto desiderato: si procede, quindi, con un secondo tentativo, da effettuare a due giorni di distanza dal primo solo nel caso in cui il sacco amniotico non sia stato rotto, e se anche questo non funziona, si ricorre al cesareo.

Metodi di induzione: pro e contro

I metodi ad oggi utilizzati per indurre il parto possono essere di tipo farmacologico e meno.

Il distacco manuale consiste in una manovra, effettuato dal ginecologo o dall’ostetrica, volta ad allontanare manualmente le membrane dalla cervice, evitando, però, che si rompano. Questa manovra presenta da un lato il vantaggio di non richiedere l’assunzione di farmaci, ma dall’altro non sempre funziona al primo tentativo e in aggiunta potrebbe causare un’emorragia.

Sempre manualmente, è possibile effettuare la rottura delle membrane (amnioressi), per favorire la naturale produzione di prostaglandine. Si tratta di una tecnica che non andrebbe mai usata come punto di partenza ma solo come ulteriore supporto alle altre tecniche, in quanto può causare anomalie nella fequenza cardiaca del feto e rendere più difficile il suo inserimento nel canale del parto.

Il distacco delle membrane può essere eseguito, in alternativa, con il metodo del palloncino: nella vagina verrà inserito un catetere riempito di soluzione fisiologica che, lasciato nel corpo della partoriente per massimo 48 ore, sollecita le contrazioni favorendo, così, l’avvio del travaglio. Si tratta di una tecnica ancora poco diffusa che ha il vantaggio di non comportare l’ultilizzo di farmaci senza essere fastidiosa per la partoriente.

L’induzione con gel di prostaglandine è sicuramente meno invasiva, ma di contro non è un metodo che serve direttamente per indurre il travaglio. Esso consiste nell’inserimento di candelette vaginali che aiutano ad ammorbidire il collo dell’utero agevolando, di conseguenza, la dilatazione e favorendo la comparsa spontanea delle contrazioni. Si tratta però di un metodo piuttosto superato, che può provocare il rischio di ipercontrattilità dell’utero.

Il metodo con fettuccia, sempre più diffuso, prevede invece che venga inserita una fettuccia imbevuta di prostaglandine direttamente in vagina (come se fosse un assorbente interno) per massimo 24 ore. Rilasciando gradualmente il principio attivo, la fettuccia favorisce l’ammorbidimento della cervice e, di conseguenza, la partenza delle contrazioni in modo più delicato e controllato.

Le contrazioni possono essere stimolate infine anche con l’impiego di una flebo per via endovenosa di ossitocina. Questa tecnica viene utilizzata nei casi in cui il collo dell’utero sia già accorciato me non sia ancora presente dilatazione. Le contrazioni provocate dall’ossitocina sono però decisamente più dolorose di quelle naturali e spesso alle partorienti viene consigliato il ricorso all’epidurale. E’ importante dunque che il medico utilizzi il dosaggio minimo efficace, anche perchè l’ossitocina può aumentare il rischio di emorragie dopo il parto.

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