‘Senza mia sorella a scuola non ci vado’: così i bambini afgani guidano la rivoluzione culturale

Se le truppe occidentali hanno lasciato l’Afghanistan ritirandosi in maniera frettolosa e confusionaria, c’è comunque chi non arretra dinanzi al ritorno al potere dei Talebani. Sono i bambini, i ragazzi, che negli ultimi giorni hanno rifiutato di tornare a scuola senza le loro compagne di classe. Il nuovo governo afgano, infatti, ha già fatto sapere che le bambine non potranno frequentare la scuola.

La campagna social: “Senza mia sorella a scuola non ci vado”

L’oscurantismo talebano teme la diffusione della cultura, ben consapevole del suo potere liberatorio. Così nel mirino finiscono i diritti delle donne, delle bambine che non potranno realizzare ciò che alle nostre latitudini rappresenta la normalità, ma in Afghanistan è un sogno: andare a scuola.

I vertici dell’Emirato Islamico hanno già dato disposizione di riaprire alcuni istituti, ma allo stato attuale non è prevista la presenza delle bambine. A ribellarsi, guidando quella che può essere definita una vera e propria rivoluzione culturale, sono gli afgani di domani: i bambini.

Proprio loro che fino ad oggi non hanno mai conosciuto il regime talebano, nati quando le truppe occidentali già garantivano la sicurezza in molte aree del Paese, hanno rifiutato l’idea di tornare tra i banchi senza le loro compagne di sempre. Così è nata sui social la campagna caratterizzata dall’hashtag “#withoutmysisteriwillnotgotoschool“, ovvero “senza mia sorella a scuola non ci vado”.

Il coraggio dei bambini afgani

Grande coraggio: è quello che stanno dimostrando i tantissimi bambini afgani che mostrano sui social il loro volto insieme a cartelli scritti in lingua pashtun (quella parlata in alcune aree dell’Afghanistan) o in inglese per manifestare la loro contrarietà rispetto all’idea di andare a scuola senza le amiche o le sorelline.

I Talebani in questo senso sono stati chiari: anche per le classi universitarie o per i corsi post-laurea, non daranno la possibilità di formare classi miste composte da uomini e donne. Lo vieta la sharia, la legge islamica di cui gli “studenti coranici” danno una ferrea interpretazione. Nella pancia del Paese, però, qualcosa si muove: i giovani non vogliono sottostare a queste regole. Forse questa reazione potrà ottenere più risultati di vent’anni di guerra.

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