La sindrome di Cri du Chat del bambino

La sindrome di Cri du Chat è una malattia genetica dovuta alla delezione del cromosoma 5. In Italia ne sono affetti circa 299 bambini.

Che cos’è la sindrome di Cri du Chat

Si tratta di una sindrome genetica rara scoperta nel 1963 dal medico francese Jerome Lejeune che le diede il nome “Cri du Chat” (in italiano tradotto in grido di gatto) a causa del caratteristico pianto dei bambini che ne soffrono: una serie di piccoli e striduli lamenti simili a quelli di un miagolio.

Tale malattia è dovuta alla perdita o delezione del braccio corto del cromosoma 5 durante lo sviluppo fetale, solitamente nella fase iniziale della gestazione oppure durante la formazione delle cellule riproduttive. La sua origine è genetica ma non necessariamente ereditaria; nel 90% dei casi infatti la sindrome insorge in maniera spontanea. La perdita del cromosoma comporta nel bambino un ritardo psicomotorio, problemi alla laringe, piccole anomalie nel volto come la sella nasale larga e una mandibola piccola, ma soprattutto una soglia del dolore molto alta. Quando questi bambini cadono o si fanno male, infatti, difficilmente si accorgono del danno subito poiché avvertono poco le sensazioni dolorose.

Gli  studi per capire e contrastare la sindrome di Cri du Chat

Dalla Sindrome Cri du Chat non si può guarire ma certamente si può garantire ai bambini una vita serena e il più possibile simile a quella dei loro coetanei. È questo lo scopo dei dottori Angelina Cistaro specialista in medicina nucleare del centro torinese Irmet-Affidea, di Giovanni Albani neurologo di Verbania e di Andrea Guala pediatra e presidente del comitato scientifico ABC (Associazione Bambini Cri du chat, nata nel 1995 a San Casciano in Val di Pesa). Tale team di professionisti, coadiuvato da altri collaboratori, studia attentamente il cervello dei bambini colpiti attraverso la Pet, una tomografia ad emissione di positroni. Scoprire l’origine della sindrome potrebbe aiutare a capire come mai i piccoli pazienti non percepiscono il dolore e aiutarli così a tutelare la loro integrità fisica, prevenendo eventuali danni interni all’organismo.

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