Bimbi mai nati: il rito giapponese del Mizuko kuyō

La perdita di un bambino a seguito di un aborto spontaneo o volontario è un dolore grande, una ferita che difficilmente si rimargina. L’angoscia e lo sgomento sono alimentati dalla mancata possibilità di poterlo stringere tra le braccia, conoscerlo, vederlo crescere. Un antico rituale giapponese, il Mizuko kuyō, aiuta le famiglie ad elaborare il lutto offrendo un servizio commemorativo per tutti i bimbi mai nati.

Chi sono i bambini d’acqua

Secondo un’antica credenza buddista, i bambini mai nati non possono varcare immediatamente le porte del paradiso. Non avendo potuto sviluppare un buon karma nella vita terrena, secondo questa tradizione le anime dei bimbi mai nati devono fare un rito di passaggio particolare, impilando delle torri in pietra sulle rive del fiume Sanzu.

Lo spirito inquieto di questi “bambini d’acqua” (così definiti per associarli al liquido amniotico in cui erano immersi, nonché alla loro natura trasparente ed informe come quella di un fantasma) viene affiancato da Jizo, l’essere illuminato. Nella tradizione questa divinità ha il compito di proteggere le piccole anime dai demoni e guidarle nel difficile viaggio verso il paradiso. Le madri giapponesi, pertanto, onorano la divinità con statuette dedicate per assicurarsi che il figlio raggiunga il prima possibile il mondo celeste. È un rito simbolico che aiuta tanti genitori ad affrontare il dramma del lutto perinatale.

Il rito del Mizuko kuyō

Il rituale del Mizuko kuyō è ancora oggi ampiamente diffuso in Giappone. Ha acquisito importanza solo nel secondo dopoguerra quando, in mancanza di contraccettivi, l’aborto era diventato purtroppo una pratica molto diffusa. Presso i templi, le strade, i cimiteri o le case è possibile osservare svariate statuette in pietra scolpite con i tratti di un bambino. Ciascuna indossa una mantellina, un berrettino rosso o un bavaglino. Ai piedi si trovano spesso delle candele, delle girandole, dell’incenso, dei piccoli oggetti come giocattoli, caramelle e biberon.

Talvolta si trovano delle piccole torri di pietra composte dalle madri, poiché si crede che aiuti ad alleviare le sofferenze del figlio nel viaggio verso il paradiso. Questo rituale rappresenta per i genitori un modo per ricordare il proprio bambino, oltre che un rituale liberatorio per alleviare, per quanto possibile, i sensi di colpa.

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