Il culto della pancia: subire body shaming in gravidanza

Sappiamo tutti cos’è il body shaming e negli anni molti di noi hanno scoperto di averlo subìto. I commenti “innocenti”, le battute “per ridere” e i consigli non richiesti sul corpo delle altre persone sono frutto di una società che ha un grande problema con la grassofobia e con il rispetto dei corpi altrui.

Non si finisce di fare body shaming nemmeno in gravidanza, quando forse astenersi dal commentare i mutamenti del corpo di altre persone sarebbe una buona mossa.

Il culto della pancia

Al di là delle morbose domande su quanti chili si sono presi in gravidanza, c’è un tipo più sottile di body shaming, quello che riguarda il culto della pancia, ossia come questa dovrebbe o non dovrebbe essere.

Io, per esempio, al settimo mese di gravidanza non avevo ancora la pancia. Avevo poco più di un rigonfiamento e dovevo dire io agli altri di essere incinta. Soffrivo talmente tanto di non avere la bella pancia tonda che ci piace tanto nelle donne incinte, che mi ero perfino comprata il classico sonaglio tintinnante che avverte gli altri della gravidanza.

Così, quando qualcuno scopriva che ero incinta sul suo volto appariva un’espressione sorpresa. Poi deducevano ー perché ormai si deduce, non si usa più chiedere ー che dovevo essere all’inizio della gravidanza e mi rassicuravano che poi la pancia sarebbe cresciuta. Quando facevo notare che non ero agli inizi ma nel terzo trimestre, vedevo la loro espressione mutare: da lode e sorpresa ー perché ci piace che qualcuno si tenga magro e “in forma” ー in sospetto e così spesso aggiungevano: “Se al settimo mese di gravidanza la pancia ancora non si vede, forse non stai facendo le cose nel modo giusto“.

Ed ecco lì la colpevolizzazione.

A volte oltre a queste osservazioni da dottor Google, c’era chi indagava: c’erano forse problemi? Mangiavo abbastanza? Seguivo una dieta bilanciata? E se prima un mio commento qualunque veniva interpretato come segno della mia forza ed equilibrio interiore, bastava uno scambio di battute per trasformare le lodi per la mia passeggiata mattutina nel motivo per cui non mettevo peso sulla pancia. Come se fossi io a non farla crescere.

Quando finalmente la pancia iniziò a vedersi, nemmeno la sua forma andava bene.

Secondo le credenze popolari, quando si aspetta un maschio la pelle è bella, solare e la pancia è a punta e tende verso l’esterno, tanto che da dietro nessuno direbbe che sei incinta. Quando si aspetta una femmina invece, sempre secondo tali credenze, la pancia è grossa e il corpo si sforma perché si sa che le femmine tolgono la bellezza alle madri e poi ci chiediamo perché investiamo poco nella solidarietà femminile.

La mia pancia ovviamente era piccola e a punta nonostante aspettassi una femmina e qualcuno era talmente tanto convinto di queste credenze popolari che mi disse che i medici si dovevano essere sbagliati perché era chiaro che avevo un maschio nella pancia.

Se sono complimenti perché fanno così male?

Sapevo anche allora che per molti quel: “E la pancia dove l’hai lasciata?” era un complimento ma per me era fonte di sofferenza.

Io volevo che la pancia si vedesse e trovare negazione e biasimo quando provavo a far notare i piccoli cambiamenti che avvenivano nel mio corpo era una sensazione dolorosa con cui convivere.

Eppure ricordo che, proprio durante uno di quegli scambi, capii che non ero la sola a provare dolore.

La maggior parte delle persone che faceva quei commenti era stata madre e sembrava che il mio non prendere peso nel modo classico mettesse in dubbio il modo in cui avevano condotto la loro gravidanza. Non era raro che qualcuna, invece di ascoltarmi, passasse il tempo a osservare e a misurare il mio corpo come se i calcoli in qualche modo dovessero tornare.

Questo perché abbiamo un grande problema con i corpi degli altri, specie quelli non conformi. Mettono in crisi, già con la loro presenza di soggetti imprevisti, tutte le nostre idee preconcette di come le cose devono essere.

Eppure, invece che accorgerci che una cosa sono le idee e un’altra è la realtà, cataloghiamo gli altri come sbagliati e andiamo avanti.

Continuiamo a lodare chi ha un corpo che rientra negli standard imposti dalla società, senza indagare cosa ci sia dietro e se quella persona ci si senta bene in quel corpo, e a denigrare chi, secondo noi, non fa abbastanza per mantenersi “in forma”.

Il rispetto passa anche attraverso le parole

Facciamo battute, commenti e “complimenti” sugli altri senza curarci di come queste nostre osservazioni facciano sentire chi li riceve.

A volte ci arrocchiamo in difesa della nostra libertà di esprimerci. Diciamo che non si può più dire niente e allora diciamo la prima cosa che ci passa per la testa e poco importa se le nostre parole feriscono gli altri, sono loro troppo sensibili non noi che lo siamo troppo poco.

Per me il punto non è che non si può più dire niente ma che bisognerebbe avere cura di ciò che si dice.

Le parole possono fare molte cose e spesso ne sottovalutiamo il potere. Sceglierle con cura allora può diventare un atto di amore e rispetto e un mezzo per arrivare all’altro.

Il video della settimana

Lascia una risposta

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *