L’annosa questione dei compiti a casa: sequestro di persona o giusto dovere formativo?

Mia figlia, l’anno prossimo, frequenterà la terza elementare. Già lo sappiamo che, tra le cose che cambieranno, ci sarà l’ incremento dei compiti a casa. Ad oggi, frequentando il tempo pieno, porta pochi compiti da fare a casa: solo qualche pagina il venerdì e in caso di brevi festività, mentre per quelle più lunghe deve esercitarsi con letture, operazioni di matematica, et similia. Tutto fattibile, ad oggi. Dall’anno prossimo, invece, ci sarebbero anche alcuni compiti infrasettimanali.

Ad ogni modo, i compiti a casa, a secondo del grado della scuola, sono sempre stati un fardello, piccolo o grande, per ogni alunno e studente. Anche per quelli più studiosi ed appassionati, perché tra giocare di più e mettersi sui libri, non c’è paragone.

Inoltre, molto cambia anche in base ai maestri, agli insegnati, perché se da un lato ci sono alcuni che li assegnano a tonnellate, altri sono assai più clementi e cercano di dare quel quantitativo che poi permetterà ai bambini ed ai ragazzi di fare sport, svagarsi, dedicarsi del tempo personale.

I compiti a casa ed il ruolo dei genitori

Vi ricorderete che, qualche anno fa, un papà aveva scritto una lettera aperta alla scuola del figlio, giustificando la mancata esecuzione dei compiti per le vacanze, con il fatto che quel tempo (estivo) era prezioso per fare esperienze di famiglia. Come se famiglia e scuola non dovessero collaborare, o muoversi verso un’unica direzione, sempre e solo a favore della miglior crescita dei ragazzi, ma fossero ambiti non conciliabili, incapaci di comunicare.

Ora, al di là della polemica che suscitò quella lettera, e dell’opinione a tal riguardo, sicuramente c’è un tema molto spinoso che riguarda anche il ruolo dei genitori, quando i figli tornano a casa con i compiti da fare.

Se, da un lato, ai genitori non spetterebbe che vigilare sui figli quando fanno i compiti, al fine di accertarsi che essi vengano portati a termine, dall’altro lato è anche vero che molte famiglie asseriscono che la mole di lavoro è così poco fattibile per i bambini (o ragazzi) che sono costretti ad intervenire per farsi carico di portarli a termine.

Purtroppo, la soluzione sarebbe sempre quella di una buona comunicazione con la scuola, con i docenti, ma sappiamo quanto in certe situazioni si pensa (o lo è) sia inutile. Forse sono casi limite, forse no. “Ieri, ha finito di fare i compiti alle dieci di sera!”, è una frase che ho sentito più volte, riferita da alcuni genitori di cui non ho motivo di dubitare.

I compiti a casa e l’importanza di fare anche altro

C’è poi un grosso equivoco, a mio parere, sulle legittime esperienze che un bambino, un ragazzo, devono poter fare in fase di crescita.

Se sull’importanza della scuola non si discute, sulla giusta fiducia reciproca che deve rimanere forte rispetto alle critiche sterili, se non deve essere oggetto di contestazione l’insegnate “che non ci piace” e non devono esserci ingerenze, salvo ovviamente casi limite, è altrettanto vero che il bambino è in un momento evolutivo importantissimo. Questo suo stato non deve essere “sfruttato” solo dal punto di vista nozionistico, come fosse un vaso da riempire di operazioni e lettere, ma in questa fase è giusto che egli faccia anche altre esperienze formative.

In molte scuole pubbliche, la ginnastica, come le lingue, sono trattate ancora con snobismo, per cui molte famiglie devono investiste soldi e tempo (anche quando sia dell’uno che dell’altro ce ne sono pochi) per garantire al figlio di praticare un’attività che non sarà solo ludica ma che potrà insegnargli altre regole (la competizione, il valore del gruppo, la cooperazione, etc).

Stesso discorso per una seconda lingua o per uno strumento musicale. Tutte queste ed altre attività permettono agli individui di essere più ricchi di conoscenze, esperienze ma anche in grado di relazionarsi meglio. E queste esperienze non possono essere considerate meno importanti di saper leggere, ancor più che oggi agli insegnanti viene chiesta una sfida più ardua ma anche più stimolante. I bambini arrivano a scuola che, a volte, sanno già leggere o scrivere (ovviamente non bene), e questo non è una colpa ma un nuovo punto di partenza.

E come si conciliano le attività con i compiti?
Ecco un altro problema: se i compiti sono troppi, i ragazzi non possono fare altro e, man mano che si crescerà, ci sarà sempre meno tempo per fare queste esperienze che, se non vengono portate avanti di pari passo con la scuola, a volte, non sono recuperabili.

I compiti a casa: ma allora chi decide se sono troppi o pochi?

Ovviamente non potranno che essere i maestri, i professori a capire, anche mettendosi d’accordo tra loro, quanto è giusto assegnare. E la famiglia, in quel patto che stringe con la scuola a settembre, non potrà che fidarsi ed affidarsi. Per i bambini di oggi, come quelli di ieri, i compiti saranno quasi sempre un piccolo grande fardello, ma, se frutto di scelte consapevoli, non potranno che portare ad ottimi frutti.

Poi, per la scuola a “tempo ridotto”, o con i “moduli”, la famiglia potrà sentirsi ostaggio in certi fine settimane, in alcuni pomeriggi, fa parte della natura della cose, quando non è un abitudine. E, qualora lo fosse, l’unica strada percorribile, anche per dare un giusto esempio ai nostri figli, dovrebbe rimanere il dialogo, per capire cosa ci sia dietro a quelli che noi consideriamo “troppi” compiti.

Per la scuola a “tempo pieno” , visto che i bambini escono da scuola alle 16.30 e, tra una cosa ed un’altra, anche solo per arrivare a casa, potrebbero varcare la soglia non prima delle cinque, sarebbe giusto capire, qualora ci fossero dei compiti da svolgere il pomeriggio, se non ci sia un altro modo per esercitarsi, ripassare o anche imparare ex novo. Perché il diritto al riposo, allo svago, vale per tutti.

Io, per ora, mi sento fortunata. Dall’anno prossimo vi dirò. E da voi come va, cosa ne pensate?

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